Non è finita, Inzaghi lo sa benissimo. Da sei giorni sta cercando di trasformare il rimpianto del 3-0 mancato all’andata nello stimolo da trasmettere all’Inter. Lo scarto non è di totale sicurezza. Pioli sfrutta la stessa leva, al contrario, per motivare il Milan e invitarlo a crederci. Basterebbe un gol per riaprire i giochi e rimettere in discussione l’Euroderby. La rimonta è possibile, come insegnano Istanbul, guarda caso, e la storia. Sono passati diciotto anni dalla finale Champions del 2005 allo stadio Ataturk, l’ex capitano Paolo Maldini ne avrà parlato ai suoi giocatori in queste ore: 3-0 per i rossoneri di Ancelotti all’intervallo, rimonta sino al 3-3 nella ripresa, supplementari e ko ai rigori con il Liverpool di Benitez. I gol in trasferta non valgono doppio, il nuovo regolamento Uefa rende possibile qualsiasi ribaltone.
Mentalità
Ci sono altri 90 o 120 minuti per accarezzare il sogno e volare sul Bosforo a giocarsela con il City di Guardiola o il Real Madrid di Ancelotti. L’Inter gode di un bel vantaggio, ma deve evitare il rischio di trasformarlo in paura, come succede quando ti senti vicino al traguardo e un risultato torna in discussione. Conta la chiave psicologica, non solo la tattica e la qualità. Negli ultimi due confronti (1-0 in campionato, 2-0 mercoledì in Champions) i nerazzurri hanno gestito il vantaggio senza assestare il colpo di grazia, come era accaduto in Supercoppa (3-0). La tendenza a ritirarsi indietro e cercare il contropiede. Di solito funziona, ma qualche spiraglio si apre. Il palo colpito da Tonali e l’occasione fallita da Messias suggeriscono una traccia: al Milan è mancata la precisione per sfruttare l’episodio favorevole e spostare l’inerzia.
Tendenza
Tre derby, 31 tiri totali e Onana è uscito ogni volta imbattuto. Prima o poi, pensano a Milanello, un pallone entrerà in rete. E’ lo spiraglio a cui si aggrappa Pioli preparando il tentativo di rimonta. Un piccolo vantaggio, dal punto di vista mentale, potrebbe averlo acquisito nel tempo sospeso tra andata e ritorno: il Diavolo ci arriverà con la testa sgombra, senza pressioni, con l’energia trasmessa dai tifosi e la voglia di uscire, nel peggiore dei casi, a testa alta. Non può esserci paura, ma solo delusione se dovesse andare male, perché gli ex campioni d’Italia temono di non partecipare alla prossima Champions. La dodicesima finale della storia rossonera aggiusterebbe il bilancio. Sarebbe il caso di definirlo “neuro” o “psico” derby. La gloria, la stagione e la faccia: è un rischiatutto.
Colpo del ko
Inzaghi dovrà condurlo con personalità. L’Inter ha gestito benissimo la doppia sfida nel girone contro il Barcellona, ma anche il ritorno con il Benfica, dopo il 2-0 a Lisbona, e ha resistito a Oporto, difendendo il gol di Lukaku. Nella fase a eliminazione diretta, in questa Champions, non è mai stata in svantaggio mantenendo la porta inviolata in quattro partite su cinque. Riuscisse a segnare subito anche stasera, si metterebbe al sicuro. Un precedente risale agli esordi da allenatore di Simone: 2-0 alla Roma di Spalletti nella semifinale di Coppa Italia, 2-3 nel ritorno andando due volte in vantaggio senza mettere in pericolo la qualificazione. Era il 2017. Una distinzione: passò più di un mese tra andata e ritorno. Questa volta solo sei giorni ed è facile comprendere perché il Milan sia crollato a La Spezia: testa al derby. Lo stesso discorso, in misura minore, vale per l’Inter: settima vittoria di fila e qualche affanno per contenere il Sassuolo. Inzaghi ha cambiato otto titolari. Condizione atletica eccellente, autostima e il lusso di tenere Lukaku in panchina. Tutto sembra favorirlo.
Fascia decisiva
Il Milan conta sul fattore Leao. Ha saltato gli ultimi due. Era indisponibile mercoledì, rimase fuori dai titolari per scelta tecnica il 5 febbraio. Alla vena del portoghese sono legate le imprese più belle della stagione (leggi Napoli) e il derby di settembre in campionato, l’unico vinto quest’anno dal Milan (3-2). Leao segnò due gol. Aggiungerà l’uno contro uno e gli strappi che liberano lo spazio per Giroud: ha portato a buon fine 37 dribbling in Champions, record per un milanista dai tempi di Kakà, stagione 2004/05. Un segnale. Rafa dovrebbe stimolare il risveglio di Theo Hernandez, totalmente fuori partita mercoledì. Inzaghi si augura che Dumfries si ripeta sugli stessi livelli davanti al francese e Darmian contenga il portoghese. Barella dovrà rinforzare la fascia destra e ribaltare il gioco. L’Inter, tredici anni dopo Mourinho, non può farsi scappare la sesta finale Champions della propria storia. Andiamo a vedere.