Inter, da Moratti a Marotta

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Ivan Zazzaroni
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Da Moratti a Marotta il salto è notevolissimo, ma non nel vuoto: la distanza tra i due deriva essenzialmente dalle disponibilità economiche, personali e non, del primo. L’ex magazziniere del Varese che diventa presidente dell’Inter sembra uscire da un fi lm di Frank Capra, romantica conclusione di uno splendido percorso fatto di umiltà, sacrifi ci, ambizioni, propensione all’apprendimento, compromessi, lavoro, capacità relazionali e insomma tutta una serie di esperienze al servizio di personaggi molto diversi tra loro: Zamparini e Zhang, ad esempio, appartengono a pianeti
opposti e inconciliabili.
Più che uomo di tecnica e azioni di gioco, Marotta lo è di azione comunicativa. Sa trattare con i media, gli altri dirigenti, gli allenatori, i calciatori, i collaboratori, le istituzioni, i politici. Vive al telefono: conferma e smentisce a seconda delle convenienze aziendali. Da tre anni a questa parte s’è fatto anche i giornali dedicati, che non amano i grandi 10 azzurri (e le iniziative del ct e federali) preferendo i 3 e i 6 granata, eppure hanno tanta fantasia, la esprimono ogni giorno con commovente e compiaciuta generosità.
A Marotta - ci incrociamo da oltre trent’anni - riconosco tante qualità, ma anche la fortuna di essere un sopravvissuto: la concorrenza di livello si è via via dissolta e oggi il neo presidente può permettersi di fare buon calcio con la mano sinistra, se non addirittura restando fermo. Oaktree ha fatto perciò benissimo ad affidarsi a lui, un Boniperti o un Facchetti che non ha giocato a pallone, trascurando notai o altre fi gure che con le dinamiche di questo mondo hanno poco a che fare.
Al fondo americano suggerisco di prendere spunto da una delle poche cose fatte bene da Zhang: sparire. Grazie alla lunga assenza di Suning jr l’Inter ha stravinto l’ultimo scudetto e nel calcio nulla avviene per caso.
Concludo con un timore che non riesco a tenere per me: l’ascesa di Marotta si può leggere in almeno due modi. Il primo, quello che prevale sui social e tra gli opinionisti filointeristi, è la conferma della continuità: pieni poteri al manager che delle strategie politiche e di mercato rappresenta la massima espressione. Il secondo riguarda le mosse future di un fondo speculativo che dell’Inter non voleva diventare proprietario, vi si è trovato per inadempienze altrui e ora deve far quadrare i conti senza turbare la piazza, né gelare l’entusiasmo alle (due) stelle. L’Inter di Zhang (non per colpa dell’ad) ha segnato patrimonio netto negativo, necessità di iniezioni finanziarie continue: viene da credere che Oaktree non voglia continuare così. Da oggi Marotta non è più un dipendente e non è più “soltanto” un dirigente: è espressione della proprietà, le cui politiche dovrà avallare facendosene persuasore nella struttura del club. Non potrà mai mettersi in rapporto dialettico, né di traverso, perché la sua nuova funzione non lo contempla. Senza sposare il semplicistico promoveatur ut amoveatur, si può pensare che valga il detto: se non puoi contrastarli (perché troppo autorevoli, carismatici, popolari) fatteli alleati.


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