Allegri, le sette mosse che hanno steso l'Atletico

Dentro l’impresa con l’Atletico Madrid il tecnico della Juve ha messo tutto: l’espressione moderna del calcio italiano
Juventus (414 gol fatti)© ANSA

Il mix di Max. Non è solo un titolo. Rappresenta la sintesi dell’Allegrismo perché il suo calcio non può essere e non sarà mai una religione monoteista. Non esiste un solo modo di vincere una partita, di difendere o di attaccare. Le strade per arrivare al successo sono infinite e cambiano ogni volta. Ecco la lezione da seguire. Non è teoria. Si chiama pragmatismo applicato alla qualità dei colpi di Ronaldo e di tutti gli altri campioni. Non potevano essere il ko del Wanda Metropolitano e la possibile eliminazione a ridimensionarne lo spessore o decretarne il fallimento. Allegri ora continuerà a lavorare con l’idea di raggiungere la finale di Madrid prima di concedersi (in qualsiasi caso) alla famiglia e al mare di Livorno. Il tecnico della Juve, non da martedì ma da quando allena a certi livelli, rappresenta il manifesto e l’evoluzione nell’espressione più elegante e moderna del calcio all’italiana. Entra nella scia di Trapattoni, Capello, Lippi, Ancelotti, non a caso i più vincenti sotto forma di titoli e medaglie. [...]

1) LA PREPARAZIONE

Bottiglia riempita in venti giorni. L’ultimo sorso, tanto per rubare la metafora ad Allegri, fotografato in un frame durante il canonico quarto d’ora concesso dall’Uefa ai media lunedì pomeriggio per la rifinitura alla Continassa. Lo staff tecnico, dopo un breve riscaldamento, ha piazzato i paletti per terra. I bianconeri scattavano a ripetizione. Resistenza alla velocità. Di solito quel tipo di allenamento lo vedi all’inizio di una settimana di lavoro atletico, non a ridosso di una partita. Max voleva risposte certe dai suoi giocatori, compreso Douglas Costa, non ancora a posto con il polpaccio. Chiudeva un ciclo di ricondizionamento lungo tre settimane, pensato la notte del 20 febbraio, quando la Juve era apparsa esausta, senza nerbo e reattività, sul campo del Wanda Metropolitano. Max, giorno dopo giorno, un sorso alla volta, voleva riempire la bottiglia. [...]

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2) LA MOSSA EMRE CAN

La mossa Emre Can era di complessa lettura. Il calcio è fatto di corsa e di movimenti, a volte non coincidono con i numeri o si diversificano in base all’interpretazione. Allegri al turco-tedesco ha affidato un doppio lavoro: difensore centrale su Morata con palla a Oblak, quando l’Atletico Madrid rimetteva dalla linea di fondo. Marcatura preventiva per evitare che l’ex juventino potesse trovare campo per ripartire con le sue formidabili progressioni o che saltasse di testa: 5 duelli aerei vinti sui 7 ingaggiati. Moduli fluidi, la difesa sembrava a tre, passava a quattro, tornava a cinque, quando nei primi venti minuti di pressione totale era attestata sulla linea di centrocampo e gli spagnoli non riuscivano a uscire dalla propria area. [...]

JUVE, BELEN ERA ALLO STADIUM


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3) SIMEONE KO
Attacchi meglio, se difendi bene. In che modo? Limitando il nemico, impedendogli di distendersi e palleggiare. Ecco dove si svela la grandezza di Allegri. Ha sfidato Simeone, gli ha rubato l’idea sul suo terreno preferito: la forza, il contrasto, il corpo a corpo. Un solo modo esisteva per mettere in crisi l’Atletico Madrid. Accettare il confronto fisico, ribaltarlo rispetto agli ultimi 20 minuti del Wanda Metropolitano, dove la Juve era crollata per stanchezza e sfinimento. Nessuno si aspettava un simile e insistito assedio. Il Cholismo si è nutrito negli anni attraverso il sacrificio, la capacità di sporcare le partite, di gestire la palla e il risultato. [...]

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4) IL PRESSING
Pressing esasperato, furioso, senza respiro. Tredici bianconeri, undici più due entrati dalla panchina, assatanati per 90 minuti. La Juve si è presa poche, pochissime pause. Una verso la fine del primo tempo e un’altra a metà ripresa, quando l’uscita di Spinazzola e l’ingresso di Dybala hanno costretto Allegri al rimescolamento tattico. E’ stata soprattutto la partenza a indirizzare la partita. La Signora si è avventata sulla preda spagnola con un’intensità mai vista. I bianconeri andavano a caccia della palla per rubargliela, riprenderla e attaccare. Lo facevano ai limiti dell’area dell’Atletico Madrid come a centrocampo. [...]


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5) LA QUALITA'
Dicono: la Juve di Allegri non gioca bene. Un luogo comune, verrebbe da rispondere. Se sai trattare la palla e possiedi una qualità di livello altissimo, come succede con i top player, è automatico “giocare bene”. Perché l’idea di squadra, nel modo di difendere e nelle scelte su come attaccare, si fonde con le genialate dei fuoriclasse e quei gesti naturali, dallo stop a un passaggio rasoterra, che definiscono la tecnica di un calciatore. La partita perfetta della Juve è passata attraverso dei concetti precisi, evocati da Allegri nel lungo avvicinamento. L’Atletico difende su due linee a 4, resta corto e compatto, porta densità con le diagonali nella zona della palla. Servivano i cambi di gioco, da una fascia all’altra, per azionare gli esterni. [...]


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6) IL FATTORE CR7 PER FARE LA DIFFERENZA
Tre gol, due di testa, il terzo su rigore per sbattere fuori i rivali storici dalla Champions ed evitare il rischio supplementari, dove l’inerzia forse si sarebbe spostata dalla parte dell’Atletico. L’ha risolta Ronaldo. Era il più atteso, doveva essere la sua notte, ha risposto calando un tris decisivo. «Sono qui per questo» ha raccontato il portoghese quando l’Allianz stava ancora festeggiando un’impresa epica, trascinata da un mostro. Un marziano capace di evolvere ancora il suo talento per esaltarne i pregi e nascondere i 34 anni. Un tempo scattava a ripetizione, era irresistibile nell’allungo e nel dribbling. Ora cerca l’agguato. Per 25 minuti sembrava chiuso, fuori dalla partita. Aspettava, invece, il momento giusto per colpire sfruttando il cross sul secondo palo. Stacco di testa sopra Juanfran e 1-0. In avvio di ripresa il 2-0 sorprendendo Gimenez. [...]


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7) LE MOTIVAZIONI
Alberto Bucci se n’è andato pochi giorni fa. Lo piange l’intero mondo del basket. Non era solo un grande allenatore, ma soprattutto un signore d’altri tempi, dagli spiccati valori umani e sentimentali. Con i suoi giocatori riusciva a creare un’empatia naturale, alla fine degli anni Ottanta aveva portato la vecchia Libertas Livorno a una frazione di secondo (e un canestro regolare annullato sul filo della sirena) dallo scudetto in finale con il Billy Milano di Meneghin e McAdoo. Max è un appassionato di pallacanestro e Alberto Bucci era un suo amico. Si confrontavano, si scambiavano opinioni. Lo considerava un esempio per la comunicativa e lo ha voluto ricordare in fondo alla notte dell’Allianz in cui attribuiva i meriti ai suoi giocatori. [...]

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Il mix di Max. Non è solo un titolo. Rappresenta la sintesi dell’Allegrismo perché il suo calcio non può essere e non sarà mai una religione monoteista. Non esiste un solo modo di vincere una partita, di difendere o di attaccare. Le strade per arrivare al successo sono infinite e cambiano ogni volta. Ecco la lezione da seguire. Non è teoria. Si chiama pragmatismo applicato alla qualità dei colpi di Ronaldo e di tutti gli altri campioni. Non potevano essere il ko del Wanda Metropolitano e la possibile eliminazione a ridimensionarne lo spessore o decretarne il fallimento. Allegri ora continuerà a lavorare con l’idea di raggiungere la finale di Madrid prima di concedersi (in qualsiasi caso) alla famiglia e al mare di Livorno. Il tecnico della Juve, non da martedì ma da quando allena a certi livelli, rappresenta il manifesto e l’evoluzione nell’espressione più elegante e moderna del calcio all’italiana. Entra nella scia di Trapattoni, Capello, Lippi, Ancelotti, non a caso i più vincenti sotto forma di titoli e medaglie. [...]

1) LA PREPARAZIONE

Bottiglia riempita in venti giorni. L’ultimo sorso, tanto per rubare la metafora ad Allegri, fotografato in un frame durante il canonico quarto d’ora concesso dall’Uefa ai media lunedì pomeriggio per la rifinitura alla Continassa. Lo staff tecnico, dopo un breve riscaldamento, ha piazzato i paletti per terra. I bianconeri scattavano a ripetizione. Resistenza alla velocità. Di solito quel tipo di allenamento lo vedi all’inizio di una settimana di lavoro atletico, non a ridosso di una partita. Max voleva risposte certe dai suoi giocatori, compreso Douglas Costa, non ancora a posto con il polpaccio. Chiudeva un ciclo di ricondizionamento lungo tre settimane, pensato la notte del 20 febbraio, quando la Juve era apparsa esausta, senza nerbo e reattività, sul campo del Wanda Metropolitano. Max, giorno dopo giorno, un sorso alla volta, voleva riempire la bottiglia. [...]

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