Pirlo, problema Juve: non deve ricostruire ma vincere

Pirlo, problema Juve: non deve ricostruire ma vincere
Alberto Polverosi
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Forse è solo una sensazione, che le parole prima di Nedved e poi di Pirlo, nelle ore che precedevano e seguivano la sconfitta col Barcellona, hanno reso un po’ strana. La sensazione è che dalla Juve stia trapelando la linea dell’“anno di ricostruzione”. Il che, se fosse vero, trattandosi del club bianconero sarebbe una contraddizione in termini: alla Juve non si ricostruisce, alla Juve si vince, il resto conta poco o niente.

Ha detto Nedved, prima della gara di Champions: «Sono usciti dei giocatori che non volevano più stare qui, per far crescere gli altri giocatori giovani, perciò dovevamo accettare una situazione e abbiamo detto proviamo a costruire. Sappiamo delle difficoltà, ci saranno grosse difficoltà, non abbiamo paura, però sarà dura». Ha aggiunto Pirlo a fine partita: «Siamo in costruzione con giocatori alla seconda partita di Champions. Questo è un anno di costruzione, ma vogliamo i risultati. Non sono qua per costruire e per non arrivare alle vittorie».

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E l’anno scorso allora cos’era? Non si trattava di un anno di ricostruzione? Anzi, di più. L’anno scorso la Juve aveva deciso di sfidare se stessa, la sua storia e la sua natura ingaggiando un allenatore che era il suo opposto. Quell’allenatore non è riuscito in 14 mesi a cambiare la testa della Juve (e non era difficile prevederlo), ma ha vinto lo scudetto, il nono consecutivo per i bianconeri. Eppure è stato subito licenziato. Ha sbagliato la Champions ed è stato spedito a casa. Con Pirlo, al debutto come tecnico, si sta usando un metodo diverso, di attesa, di pazienza e di fiducia. Un metodo giusto, che si può condividere, ma in netto contrasto con quello che ha portato prima alla palpabile sfiducia della dirigenza nei suoi confronti e subito dopo al licenziamento di Maurizio Sarri. Al quale la squadra era stata rinnovata quasi quanto è stato fatto poi con Pirlo: De Ligt, Danilo, Demiral, Rabiot, Ramsey e il ritorno di Higuain. Anche quella era una squadra da ricostruire. C’è un altro aspetto che non ci convince del pensiero di Pirlo, riguarda i giovani: «Per ragazzi come Pedri e Ansu Fati è facile inserirsi perché sono cresciuti con certi input tattici fin dalla cantera. Noi stiamo costruendo qualcosa di diverso con giocatori poco esperti che arrivano dalla Fiorentina, dal Parma e dalla Bundesliga». E’ una frase che ci ha riportato alla mente quella usata tempo fa da Antonio Conte, anche in quel caso dopo una sconfitta in Champions, a Dortmund: «L’Inter ha un gruppo di giocatori che non ha vinto niente, a parte Godin. A chi chiediamo, a Barella che abbiamo preso dal Cagliari o a Sensi che viene dal Sassuolo?». Niente a che vedere nei toni e nei modi, la distanza fra Pirlo e Conte sotto questo profilo è evidente, ma la sostanza è la stessa. Giovani, certo, ma valutati già come campioni: Chiesa è stato pagato 50 milioni più 10 di bonus, Kulusevski 35 più 9, McKennie può costare fino a 30 milioni. Chiesa è al quinto campionato di Serie A finora sempre da titolare e in Nazionale ha più di 20 presenze, McKennie è stato titolare nello Schalke 04 nelle ultime tre stagioni, mettiamoci pure Bentancur che in quattro anni di Juve ha superato le 110 partite. Insomma, inesperti fino a un certo punto. La ricostruzione, se di ricostruzione si tratta, ha bisogno dei suoi tempi e delle sue verifiche. Quando succede alla Juve, è davvero molto strano.


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