Champions, la Maledetta della Juve

Champions, la Maledetta della Juve© ANSA
Ivan Zazzaroni
3 min

Riecco l’incubo. Il dolore è atroce. Riecco la sensazione - forte - del fallimento stagionale. La Juve è fuori agli ottavi, di nuovo: avrebbe meritato di passare, ma non si può trascurare il fatto che, così come l’anno scorso, sia stata eliminata da un avversario che le era inferiore, dal 54’ anche numericamente. Ronaldo è mancato più di ogni altro: l’amico di sempre, Pepe, l’ha sovrastato. Un Chiesa straordinario e un Arthur che mi ha ricordato il miglior Deschamps hanno soltanto alimentato l’illusione, prolungando l’agonia.

Non riesco nemmeno a immaginare gli effetti che potrà produrre questa eliminazione, sono ancora stordito dalla tempesta di emozioni che una partita di follie (Mehdi si è preso un secondo giallo imbarazzante) e errori ha prodotto. Anche Chiesa è stato tradito. All’andata tenne in vita la Juve. Al ritorno gliel’ha restituita - la vita, poiché la Champions per la Juve è vita - quando molto sembrava perduto. Servivano proprio la Juve e i grandi impegni internazionali al figlio di Enrico per maturare al punto da riuscire a sostituire in più di un’occasione Ronaldo come risolutore. La sua crescita è stata in effetti impressionante e al tempo stesso sorprendente: a Firenze Federico non aveva un buon rapporto con il gol: dicevano che non sapesse gestire le energie, che arrivava spremuto e quindi annebbiato al momento del tiro. E che esagerava in astuzie.

A Torino non ha imparato a gestirsi meglio, in campo dà sempre il fritto e anche qualcosa di più, ma ha trovato le risposte a tante domande e, soprattutto, ha saputo sfruttare la superiore qualità dei compagni. Oggi Chiesa non è più essenziale e pratico di un tempo: è semplicemente forte come soltanto lui credeva di essere. Ora sappiamo che presentare la vigilia di una sfida decisiva di Champions con la formula - ormai abusata - del «come una finale» porta una sfiga esagerata a chi dall’ultima coppa alzata a oggi - di anni ne sono passati venticinque - di finali ne ha perse addirittura cinque.

È la prima raccomandazione che mi sento di rivolgere a Pirlo: in futuro eviti i peccati verbali e veniali prima di passare a quelli tattici che hanno reso il primo tempo una lezione su tutto ciò che non si dovrebbe fare quando avversari non eccezionali decidono di difendere con un’inusuale prima linea a sei. Un muro ordinato da Pepe contro il quale la Juve è andata a sbattere continuamente: Alex Sandro e Cuadrado non sono quasi mai riusciti a penetrarla dai lati, mentre Morata e Ronaldo, annullato(si) per quasi tutta la partita, sono stati ripetutamente raddoppiati.

La Juve avrebbe dovuto tentare di far salire Mbemba e Zaidu per tentare di creare qualche spazio sfruttabile, ma non c’è mai riuscita. In altre parole, avrebbe dovuto fare come il Porto, prodotto di un calcio che è ormai l’espressione della serie B europea: nella prima mezz’ora investendo nel contropiede è riuscito a tirare almeno sette volte verso la porta di Szczesny. Urge l’ennesima riflessione sulla qualità del nostro calcio. Dovrà essere seguita dai fatti.


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