Juve, Max e lo spettro della bocciatura

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Juve, Max e lo spettro della bocciatura© Juventus FC via Getty Images
Roberto Beccantini
4 min

Non sorprende che la rivista inglese “FourFourTwo” abbia escluso Massimiliano Allegri dai primi 50 allenatori. Sorprende, se mai, che qualcuno si sia sorpreso. Veniva da due stagioni di sbadigli pagati e, di ritorno alla Juventus, era arrivato quarto in campionato, era stato eliminato negli ottavi di Champions dal Villarreal, aveva perso Supercoppa e Coppa Italia, entrambe contro l’Inter. In base a quali algoritmi, di grazia, colleghi così illustri e posati avrebbero dovuto prenderlo in considerazione?

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Lo avremmo declassato tutti, non solo Lele Adani e Antonio Cassano. Quando cerchi di spostare le colonne d’Ercole, può succedere che siano loro a spostarti. Allegri è uno dei rari tecnici al mondo ad aver rifiutato il Real Madrid. Per paura? Peggio: per pigrizia. Il meglio l’ha dato. Durante il quinquennio (2014-2019) dal quale ricavò 5 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe e 2 finali di Champions, il mensile britannico lo collocò in alto: al quinto posto nel 2015, al sesto nel 2016, al terzo nel 2017, al quarto nel 2018. Le classifiche sono soggettive, ma è difficile che raccontino realtà (troppo) lontane dalla verità. A meno che il sinedrio londinese, sobrio a ottobre, in passato non fosse un’accolita di ubriachi. Difendere un indifendibile non significa smontare una carriera e ricostruirla seguendo gusti di parte, non necessariamente della parte giusta. Allegri è un toscano strano, più abulia che utopia, un livornese che non si è mai sentito allenatore, parole sue, un tipo che si ciba di scintille, di intuizioni, a patto che la rosa sia ben assortita: e se più guarnita delle altre, evviva. L’ideale staffettista post Antonio Conte, così come Fabio Capello lo fu dopo Arrigo Sacchi e Simone Inzaghi dopo Conte, ancora. Non sarà mai un creatore e, dettaglio cruciale, non è più quello che portò il Sassuolo dalla C alla B e il Cagliari da cinque sconfitte al nono gradino. Persino José Mourinho gli fece i complimenti. Al Milan trovò Zlatan Ibrahimovic, con cui vinse il primo dei suoi sei titoli, regalò l’unico a Cassano, il Torquemada che non gliene perdona una, e condusse Antonio Nocerino, di professione mediano, a 10 gol su azione. 

A Lisbona lo aspettano al varco il Benfica e lo spettro di una fragorosa bocciatura. Mai, tra Milan e Juventus, è uscito nella fase a gironi. E Madama, già che ci siamo, non vi lascia le penne dall’ordalia “spezzata” di Istanbul, dicembre 2013. Pilotata da Conte, venne trafitta dal Galatasaray di Roberto Mancini. Decise, per la proprietà transitiva della nemesi, Wesley Sneijder. 

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A 55 anni, Max razzola come “giuoca”, con un lessico che manda in bestia i cantori cresciuti a spazio e intensità. «Una vita al centro della storia - lo sappiamo bene - non è una scampagnata», scrive Milan Kundera. I tifosi non lo hanno mai amato. Molti spingono per il revival del Martello salentiaeno. Sarebbe la più italiana delle marce indietro. In cima ai sondaggi e alle tabelle sventola il genio di Pep Guardiola. Che però, senza Leo Messi, ha disputato una finale di Champions, mentre Allegri due. Perché sì, il calcio non è una buffonata: è un mistero buffo. 


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