Juve, il nodo sono le scritture nascoste

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Alessandro F. Giudice
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Non c’è solo la contestazione di plusvalenze finte nell’atto d’accusa con cui la Procura ha chiuso le indagini a carico dei vertici della Juve. Le contestazioni includono infatti lo spostamento, da un anno al successivo, di costi per stipendi che avrebbe alterato i bilanci 2020, 2021 e 2022. Per capire di cosa si parla, occorre tornare alla primavera 2020: il calcio affrontava il lockdown, lo stop ai campionati e la più grande crisi della sua storia. In un comunicato del 28 marzo la Juve annunciò l’accordo coi tesserati per la rinuncia a 4 mesi di stipendio, precisando che l’intesa avrebbe comportato 90 milioni di risparmio nel 2019-20. Il comunicato precisava che società e tesserati avrebbero negoziato “in buona fede eventuali integrazioni dei compensi sulla base della ripresa e dell’effettiva conclusione” delle competizioni. Tutto lasciava intendere che la rinuncia fosse definitiva e che le parti avrebbero concordato come corrispondere “eventuali integrazioni dei compensi” senza alludere a pagamenti automatici. Secondo la procura, invece, le somme da versare agli atleti erano già concordate ex ante, con scritture private individuali che – una volta completato l’iter – sarebbero state distrutte. Le clamorose perquisizioni disposte un anno fa cercavano infatti evidenze di tali scritture, inclusa quella (piuttosto misteriosa) riguardante Ronaldo a cui si faceva riferimento in un’intercettazione.

Il punto nodale di questo filone del capo d’accusa è tutto qui. Secondo la procura, la Juve sapeva di dover corrispondere gli stipendi (almeno 3 delle 4 mensilità ufficialmente depennate) mentre lasciava intendere al mercato di aver consolidato un risparmio di spesa. Tale manovra si è poi ripetuta negli anni successivi con un trascinamento di costi funzionale a rendere le perdite meno vistose spostandole in avanti, tanto che la società di revisione (Deloitte) muove rilievi al bilancio 21/22, evidenziando differenze tra le perdite contabilizzate e quelle che sarebbero risultate da una rappresentazione veritiera. Ne consegue anche un patrimonio netto alterato. Secondo Deloitte, gli impegni assunti coi tesserati costituivano una “construction obligation” che gli amministratori hanno mancato di rappresentare. Non è ininfluente notare che la società che certifica il 21/22 non la stessa (EY) che aveva licenziato senza rilievi i bilanci precedenti. Certo, Deloitte ha potuto contare su notizie di indagini in corso di Consob e procura ma la circostanza è lampante. Un bilancio con rilievi non è mai una bella cosa, soprattutto per una società quotata. Che tali rilievi si traducano poi in ipotesi di reato è un passaggio forte che dovrà essere dimostrato in giudizio ma le false comunicazioni sociali (e false comunicazioni al mercato) in una società quotata sono un reato piuttosto serio, sebbene non facile da provare.

L’argomentazione bianconera secondo cui le differenze si compensavano nel triennio non pare molto convincente perché il bilancio annuale deve fornire ogni anno la rappresentazione veritiera e corretta della dinamica economica, per non indurre in errore ignari risparmiatori (o investitori) che possono negoziarne le azioni. Sulle plusvalenze è tutto abbastanza noto ed esistono precedenti nel calcio in cui il tribunale ha concluso per l’impossibilità di attribuire valori certi ai cartellini dei giocatori: sarà certamente questa la difesa degli accusati e molto difficile per l’accusa provare il contrario. La richiesta di provvedimenti cautelari (i domiciliari per Agnelli, negati dal gip) ci pare davvero un’enormità per fatti riguardanti bilanci ormai chiusi e documenti già in possesso degli inquirenti.


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