Perché la Juve è stata punita e le altre squadre no

Leggi il commento alla sentenza sul caso plusvalenze
Alessandro F. Giudice
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La domanda prevalente in tutti i commenti, sin dai minuti successivi alla sentenza, è perché questa colpisca solo la Juve e non le altre. Chiaro che la revocazione della sentenza di proscioglimento fu richiesta dalla procura federale dopo l’acquisizione delle intercettazioni provenienti dall’inchiesta Prisma, ma oggi il tifoso bianconero, e non solo, è mosso da grande curiosità. Se la Juve ha realizzato plusvalenze “a specchio” con altri club, perché questi ne escono prosciolti pur avendone conseguito vantaggi analoghi? Anche il club l’ha rimarcato in un comunicato.

Il motivo, essenzialmente tecnico, va spiegato. Il Codice di Giustizia Sportiva (art. 31) dichiara testualmente punibile la “falsificazione dei propri documenti contabili o amministrativi”. Nello specifico caso delle plusvalenze fittizie, la falsificazione contestata alla Juve consiste nell’aver presentato bilanci che Consob e i suoi stessi revisori hanno ritenuto alterati per non aver applicato un principio contabile (IAS 38 - Attività immateriali) obbligatorio in virtù del suo status di quotata in borsa. Non è un dettaglio formale: sottende un problema sostanziale. Nessuno ha imposto alla Juve di quotarsi, ma da questa posizione discendono vantaggi e obblighi. Il vantaggio, ad esempio, di poter collocare ingenti aumenti di capitale (700 milioni in due anni) gravando solo per 450 sul proprio azionista di maggioranza e raccogliendone 250 presso il pubblico. Perciò, la Borsa - di cui Consob è l’organo di controllo - impone obblighi di trasparenza supplementari alle quotate tra cui l’adozione dei principi contabili internazionali.  

Le altre società coinvolte nell’inchiesta sono invece vincolate a redigere il bilancio secondo i principi contabili nazionali (OIC) per i quali è sufficiente la giustificazione tradizionale delle plusvalenze: nell’impossibilità di stabilire il valore di mercato oggettivo del cartellino, vale (più o meno) quasi tutto. Parrà una sottigliezza ma non lo è.  
Può sembrare un paradosso che due parti, coinvolte nella stessa transazione, subiscano trattamenti opposti dallo stesso sistema di norme sportive - l’una di condanna, l’altra di assoluzione – ma è invece naturale perché, applicando la norma sportiva alla lettera, nessuna delle altre società coinvolte può essere sanzionata per aver commesso “falsificazione dei propri documenti contabili amministrativi”. Come peraltro già stabilito mesi fa dalla stessa giustizia sportiva anche per la Juve, equiparando allora in maniera disattenta la posizione dei bianconeri a quella di tutti gli altri. L’inchiesta Prisma prese spunto dal rapporto ispettivo in cui la Consob rilevava violazioni dello IAS 38. Se chi adotta i principi internazionali scambia con un terzo, senza passaggio di denaro, un bene qualsiasi non può farlo ad un valore arbitrario, nel presupposto che sia impossibile determinarlo oggettivamente sul mercato. In tale caso, infatti, il principio impone chiaramente di attribuire al bene scambiato il valore di iscrizione in bilancio, cioè il valore netto contabile. Di conseguenza, la plusvalenza dovrà essere zero. Il principio non ammette deroghe e realizzare plusvalenze di questo tipo per importi ingenti, tali addirittura da incrementare di un terzo il proprio fatturato, costituisce indubbia alterazione del risultato economico.  

Naturalmente, non è detto che tale alterazione del bilancio costituisca automaticamente un reato: ciò andrà dimostrato nel dibattimento penale. Per il falso in bilancio occorrono altri presupposti come, ad esempio, l’ingiusto profitto personale di chi avrebbe attuato la presunta condotta criminosa. Non è facile per la pubblica accusa dimostrarlo, anche se la mole di intercettazioni dell’inchiesta Prisma conferisce sostanza alle accuse. Ma per la giustizia sportiva non è necessario il reato: il collegio ritiene sufficiente ai fini dell’illecito amministrativo la documentazione comprovante l’alterazione dei bilanci.  
In conclusione, occorre tenere conto del principio di autonomia del processo sportivo. La procura FIGC (a differenza degli organi inquirenti) non dispone di mezzi d’accertamento giudiziario come le intercettazioni. Può solo acquisire il materiale probatorio scaturito da altri procedimenti e così è stato. Le intercettazioni formano elemento di prova sportiva solo per la Juve perché solo i suoi dirigenti venivano ascoltati. Se il falso in bilancio contestato alla Juve fosse contestabile ad altri club, la procura di Torino avrebbe avuto l’obbligo di indagare anche i loro dirigenti. Cosa che non è avvenuta, per i motivi che abbiamo esposto: solo nei confronti della Juve tale fattispecie può prefigurare un reato. E solo alla Juve la FIGC può addebitare l’illecito amministrativo che ne consegue. 


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