Juve, il patteggiamento è più di un’ipotesi: servono almeno due condizioni

Il club bianconero studia le mosse: potrebbe cercare l’accordo con la procura sulle nuove accuse
Juve, il patteggiamento è più di un’ipotesi: servono almeno due condizioni© ANSA
Giorgio Marota
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Quella del patteggiamento, in casa Juve, potrebbe essere molto più di un’ipotesi. Ma si concretizzerebbe al verificarsi di almeno due condizioni: un’intesa all’interno della famiglia Agnelli (al momento tutta da accertare, visto che il club ha sempre professato l’innocenza dei propri tesserati) e una sentenza favorevole ai bianconeri nell’udienza del 19 aprile sul caso plusvalenze. I tempi allungati rispetto al previsto forniscono un assist interessante ai legali della difesa, che prima di ricevere i deferimenti per le manovre stipendi, i rapporti con gli agenti e le partnership sospette con Atalanta, Bologna, Cagliari, Sampdoria, Sassuolo e Udinese (tre accuse che Chiné ha unito in un solo fascicolo, inviando mercoledì l’avviso di chiusura indagini) avranno quindici giorni di tempo per elaborare memorie ed eventualmente chiedere un accordo alla procura Figc sulla base dell’articolo 126 del codice di giustizia sportiva. Il quale prevede che, patteggiando, «la sanzione può essere diminuita fino ad un massimo della metà di quella prevista nel caso in cui si procedesse in via ordinaria».

Ipotesi

Nell’ipotesi in cui la Juve tornasse in possesso dei 15 punti, scendere a patti con l’accusa sul secondo filone d’inchiesta per limitare i danni assumerebbe un significato completamente diverso. E, viste le circostanze, incassare solo qualche punto di penalizzazione (con lo sconto) potrebbe essere il male minore per risolvere in fretta una vicenda che rischia di sconfinare al 2023-24, condizionando anche la prossima stagione della squadra di Allegri.

Codice

Tornando alla conclusione delle indagini, in molti si sono chiesti per quale ragione ad Agnelli, Paratici, Nedved, Cherubini, Manna, Morganti, Braghin e Gabasio sia stato contestato solamente l’art. 4.1 del codice di giustizia sportiva («lealtà, probità e correttezza») e non (anche) l’art. 31, che ha voce in capitolo sulle violazioni in materia gestionale ed economica e che avrebbe potuto configurare anche un’ipotesi se vogliamo più clamorosa: l’esclusione dal campionato qualora gli illeciti contestati fossero stati determinanti per far quadrare i conti della Juve, permettendole di iscriversi al campionato. Secondo quanto filtra, la ragione risiede nel fatto che l’art. 31 presuppone la falsificazione di documenti o dichiarazioni rese ad esempio alla Covisoc; nel caso in questione, sono sotto indagine altri documenti come le “side letter” coi calciatori (per le manovre stipendi 2019-20 e 2020-21) o gli “accordi sommersi” con le consorelle (impegni presi con altri club ma nascosti nei cassetti e diversi dai contratti ufficiali), oltre ai pagamenti effettuati a favore di agenti. E quindi, atti non destinati agli organi di controllo, che prevedono l’applicazione del 4.1. Il 4.1 è il caposaldo dell’ordinamento (violarlo significa alterare le regole del gioco) e i giuristi la considerano una sorta di norma “in bianco” utilizzabile per contrastare condotte che cozzano coi valori basilari e che non risultano configurate come fattispecie di “illecito disciplinare”. Va ricordato che le pene nella giustizia sportiva devono essere “effettivamente afflittive” e quindi recare un danno concreto a chi le subisce. Valga l’esempio portato da Chiné durante la requisitoria nell’ultima udienza: «Chiediamo 9 punti di penalizzazione perché la Juve in questo modo finirebbe dietro la Roma, quindi fuori dalle coppe». Un nuovo processo ci sarebbe soltanto a fine maggio, a campionato finito o quasi. Non va esclusa quindi una Juve che inizierà anche il prossimo campionato con un asterisco in classifica. Più avanti rischiano di doversi difendere in tribunale anche altre squadre, ma soltanto quando le procure territoriali chiuderanno le loro indagini.


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