Juve, c’è qualcosa di nuovo

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Juve, c’è qualcosa di nuovo© ANSA
Alessandro Barbano
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Come prima. Perché almeno per una notte assapora che vuol dire stare davanti a tutti, e non accadeva da centoventiquattro partite, quando Sarri portò a casa lo scudetto nella tempesta del Covid. Ma anche perché è tornata a giocare da padrona, come la Juve deve fare. Con la consueta diligenza in difesa, con i reparti corti in mezzo ai quali si vede finalmente un’illuminata regia di Locatelli, con gli esterni che non funzionano come vorrebbe Allegri, ma con Kean che fa per due, per lui e per uno spento Vlahovic, ancora a disagio con i fondamentali della tecnica individuale. È una Juve compatta, ordinata, sufficientemente incisiva anche quando le manca la fantasia sulle fasce, aggressiva nel pressing, una squadra che può crescere ancora. E che finalmente scopre un attaccante maturo nel giovane nazionale azzurro, che confeziona due gol da favola praticamente da solo, al netto del fuorigioco e del fallo che il Var segnala a un arbitro con evidenti difetti di rapidità visiva. Questo Kean è il patrimonio che giustifica l’azzardo dell’investimento fatto dal club bianconero su di lui.
Il resto arriverà. Perché la saggezza di Allegri sta, allo stesso modo di Mourinho, nella coscienza dei limiti. Ti mancano due esterni capaci di aprire varchi sulle fasce e metterla in mezzo? Weah è inconsistente, Kostic prevedibile se non riesce ad affondare? Devi trovare altre alternative, corridoi verticali, triangolazioni con le punte - peccato che Vlahovic fa fatica a comprenderle -, affondi individuali. E tirare, tirare, come ha fatto Locatelli con il Milan, come hanno fatto ieri Chiesa e Rabiot. Poi certo, McKennie non è Tardelli, e bisogna accontentarsi. Ma intanto la Juve è tornata a palleggiare veloce e, con un Kean in queste condizioni di forma, c’è sempre un riferimento davanti.
Il Verona non è l’Inter, né il Napoli. Ma una provinciale generosa e incapace di pungere davanti, dove la torre di Djuric non riceve sponde all’altezza, se si eccettua qualche spunto del bravo ma statico Bonazzoli, e tutto si spegne prima di arrivare nell’area avversaria. Questo per dire che una prestazione brillante contro la squadra di Baroni non è la certificazione di una guarigione definitiva. Ben altre prove dovrà affrontare Allegri per verificare che il suo corto muso può imporsi come un modello egemone. E la prima verifica non riguarderà gli attaccanti, ma gli uomini del reparto difensivo. Al netto della buona condizione di Szczesny, una retroguardia a tre con Bremer, Rugani e Gatti, ieri titolari per l’infortunio di Danilo, può sostenere la pressione di squadre da scudetto?
Lo scopriremo solo vivendo. Ma un passo alla volta Allegri sta salendo la china con una continuità inedita, che non si era vista nelle passate stagioni. È un segnale che qualcosa è maturato nello spogliatoio azzurro. Ed è anche il segnale di un vantaggio competitivo che viene dalla squalifica europea. Con sei giorni di preparazione, contro i tre e talvolta i due degli avversari, questa squadra può trasformare il suo trotto in un galoppo primaverile. Inter, Milan e Napoli sono avvisate.


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