Juve, Allegri non può fare le nozze con i fichi secchi

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Alessandro Barbano
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Il corto muso di Allegri non è una stitichezza del coraggio tattico, ma un limite strutturale di una squadra incompleta e, per certi versi, incompiuta, che pure ha ottenuto fin qui più di ciò che era lecito attendersi. Pensate alla linea di partenza da destra verso sinistra dei cinque in mediana: Cambiaso (il migliore), McKennie, Locatelli, Miretti e Kostic. Ai quali devono aggiungersi Yildiz e Iling-Junior, entrati nell’ultimo quarto di gara. Sette comprimari e nessun vero regista a cui la sorte, e le disgrazie di Pogba e Fagioli, consegnano un’immeritata insostituibilità. Nessuna delle combinazioni possibili con questi sette uomini garantisce alla Juve il dominio del gioco, la spinta e il passaggio tra la linee per liberarsi al tiro o piuttosto per offrire soluzioni smarcanti ai due attaccanti. I quali peraltro sono due solisti affetti da una reciproca idiosincrasia: il primo, Vlahovic, penalizzato da una ruvidezza tecnica e un dilettantismo tattico che raramente lo fanno trovare pronto negli scambi; il secondo, Chiesa, vittima della sua caotica generosità. Che pure non gli impedisce di sfruttare un errore della difesa rossoblù procurandosi e realizzando il rigore del temporaneo vantaggio bianconero.

È una Juve al più furba davanti, capace di approfittare, ma meno di costruire, cioè senza inventiva e visione. Ed è una Juve dietro prudente per necessità, poiché anche la cassetta degli attrezzi di uomini come Gatti è a tratti rugginosa. È una squadra cui l’esperienza di Allegri ha insegnato a prendere coscienza dei propri limiti per colmarli o piuttosto per nasconderli, finché si può. Il muso corto è stato fin qui l’esito di una qualità che s’impone solo perché sfrutta a pieno la sua ridotta dotazione. Ma se incontra una squadra volitiva come il Genoa, tecnicamente attrezzata a centrocampo, rapida e imprevedibile negli ultimi trenta metri grazie all’estro del suo uomo migliore, Gudmundsson, la Juve smarrisce ogni residua egemonia. E allora non le basta più, per vincere, l’unica occasione concreta della partita che riesce a creare. Poiché la pressione del Genoa prima la contiene, poi la ribalta, grazie all’intuizione del tecnico Gilardino, che inserisce una punta effettiva come Ekuban e arretra Messias nel ruolo di esterno sinistro. L’effetto è un secondo tempo di grande spinta sulle fasce che schiaccia i bianconeri nella loro trequarti. L’occasione per trafiggerli è una progressione verticale favorita da un rimpallo fortuito e sfruttata dal tempismo del nazionale islandese.

A ben vedere, stavolta è il Genoa che fa la Juve. Contiene, assedia, trafigge e protegge un pareggio che vale quanto una vittoria. E che condanna Allegri al primo falso sorpasso su Inzaghi, consentendo all’Inter domani di allungare a quattro lunghezze se batterà la Lazio. Il campionato ha già segnato, prima ancora di giungere al giro di boa, una sola leadership. È presto per considerarla un dominio assoluto, poiché bisognerà fare i conti con i cali stagionali che talvolta ribaltano gli equilibri. Però il primato di talento, personalità, intesa che l’Inter mostra rispetto a tutte le sue rivali è un’evidenza incontestabile. Quanto alla Juve, non può chiedersi ad Allegri di fare le nozze con i fichi secchi. Se si vuole restare in alto e contendere all’Inter la vetta della classifica, si torni quanto prima dal verduriere per comprare nuova frutta di stagione.


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