Juve, il futuro è già scritto: bisogna cedere. Vlahovic e Chiesa a rischio

Mancano spazi per operazioni onerose e non sono evitabili cessioni da cui ricavare risorse irrinunciabili: la situazione
Alessandro F. Giudice
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Quello che i tifosi della Juve possono sognare dalle prossime sessioni di mercato è scritto nei conti del club che ha pubblicato la semestrale tre settimane fa e nel piano industriale proposto dal management agli azionisti. Premesso che mancano spazi per operazioni onerose, non sono evitabili cessioni da cui ricavare risorse irrinunciabili. In fondo, il problema più cogente non è neppure la perdita del primo semestre (95 milioni, del tutto attesa) e neppure quella, molto probabile, che emergerà al 30 giugno, stimabile intorno a 150. Il fatto è che la Juve continua a bruciare cassa: la gestione ordinaria ha ingoiato 64 milioni nel primo semestre ’23/24 (contro 56 nello stesso periodo l’anno scorso) e la finanza non abbonda. La controllante Exor ha dovuto anticipare la sua quota (127 milioni) dell’aumento di capitale, senza la quale il patrimonio netto sarebbe andato in negativo. Il capitale sociale, completamente eroso dalle perdite, è stato portato al minimo legale di 50 mila euro. Nel mese di febbraio Juventus ha rimborsato il prestito da 180 milioni emesso nel 2019 (il cosiddetto “Ronaldo-bond”) ma per farlo ha dovuto creare - con operazioni di finanziamento - liquidità non disponibile sui conti al 31 dicembre. Oggi parte il collocamento dell’aumento di capitale, da cui arriveranno i residui 72 milioni su cui non vi sono dubbi, essendosi Exor impegnata a sottoscrivere eventuali diritti inoptati dagli azionisti di minoranza e non assorbiti dal mercato.

Juve, non si possono evitare cessioni

Ciò significa però che la Juve ha sostituito debito con debito perché parte della finanza in arrivo dall’aumento di capitale dovrà coprire le perdite che la gestione continua a formare. Lo stato patrimoniale al 31 dicembre presenta 450 milioni di passività a breve scadenza (coperte solo per 151 da attività correnti) di cui 180 erano i bond ma, anche ammesso che le obbligazioni rimborsate siano state interamente rifinanziate con debiti a lunga scadenza, lo squilibrio di cassa resta rilevante. Lo status di quotata impedisce alla Juve di raccogliere rapidamente altro capitale perché l’iter (assemblea straordinaria, situazione patrimoniale intermedia, prospetto Consob, collocamento) richiede sempre almeno sei mesi. Dunque, il riequilibrio dovrà arrivare dalla gestione ed essendo in grave deficit quella ordinaria non si possono evitare cessioni. Il piano industriale presentato a ottobre prevede il pareggio nel ’25/26. Per ottenere tale risultato la Juve dovrà centrare la qualificazione in Champions (obiettivo che quest’anno pare probabile) e superare il girone. L’eventuale qualificazione al Mondiale sarebbe un plus che consentirebbe di arrivare prima al traguardo. Per farlo la Juve dovrà ricavare almeno 120/130 milioni di plusvalenze da cessioni in tre anni, a cominciare da questo, in cui i milioni da player trading sono finora 20. Ne mancano altri 20 da realizzare preferibilmente entro giugno, a cui sommare altri 40 da conseguire nell’esercizio contabile ’24/25, cioè da luglio. Inoltre, la Juve deve abbassare il costo della rosa (stipendi più ammortamenti) a 300 milioni: atterraggio drastico dai 414 dell’anno scorso, ma pure dai 360 previsti in questo. La riduzione dei costi dell’organico è anche richiesta dal nuovo Fair Play Finanziario, in base al quale non potranno superare il 70% dei ricavi operativi che, nel caso della Juve, sono attesi sui 450.

Juve, da Chiesa a Vlahovic: i candidati alla cessione

In questo scenario, pare difficile che la Juve possa rinunciare a cedere calciatori da cui ricavare plusvalenze: i candidati sono ovviamente Chiesa, Bremer, Vlahovic oppure i giovani Soulé, Yildiz, Iling-Junior. Difficile non proseguire con Allegri che ha ancora un contratto oneroso: duplicare i costi dello staff non sarebbe funzionale all’austerity. Resta il nodo del rinnovo, su cui le parti si confronteranno.

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