Giletti: “Juve, dai ad Allegri un regista vero”

Il conduttore tv ha un pensiero fisso: "Max sa gestire grandi giocatori e oggi non li ha. Lo vedrei al Real Madrid"
Giorgio Burreddu
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Tutti facciamo i conti con il tempo e le attese, Massimo Giletti non è diverso. Torna in Rai questo spirito libero con il ciuffo aggraziato ma un po’ ribelle, un uomo capace di ampi sorrisi e profondissima quiete. «Quando hanno chiuso “Non è l’Arena”, così, improvvisamente, Giovanni Minoli mi ha detto: “Vai via, trovati un luogo dove ricostruire te stesso e dove ritrovare la serenità”. Io l’isola ce l’ho, è uno scoglio, silenzio, e l’equilibrio si ricerca leggendo, vivendo la natura». L’intreccio futebolista con Giletti è un attimo, persino scontato. E non può essere che la Juve, la sua amata Juve che in fondo va cercando il tempo del suo rinnovo. «La Juve è un po’ drogata dai nove anni di successi. Quando vinci diventi anche un po’ arrogante, pensi di arrivare sempre in testa. Credo si sia persa la linea guida. Coincide con l’addio di Marotta. Non è un caso che la Juve scenda e l’Inter innalzi successi. Manca un uomo saggio, che guidi la società». 

E Giuntoli dove lo mette? 
«È un acquisto fondamentale. Penso a lui dal miracolo Carpi: senza soldi, solo idee. Per me Giuntoli e Vlahovic sono la stessa cosa, tasselli fondamentali. Ma ci vuole la dirigenza, uomini di calcio. La Juve deve decidere dove andare».

Ci vogliono investimenti? 
«Manca l’uomo che dica “sì, si può fare”, perché l’investimento non lo decide Giuntoli. Però lui è un uomo che il calcio lo conosce bene. Tuttavia, se non investi, rimani una squadra mediocre».

E Allegri dove lo colloca? 
«Sono per la linea fare quadrato attorno a Max. Lavorare e parlare poco, un po’ come devo fare io. A giugno si trarranno le conclusioni. Allegri dà il massimo nel momento in cui ha giocatori di grandissimo livello, tant’è che sulla panchina del Real Madrid lo vedrei bene. È come Ancelotti, sa gestire grandi giocatori. Oggi non li ha».

Lei che rapporto ha con il calcio? 
«È una passione totale. Gioco ancora, a 8, mi dà gioia: salvare un gol sulla linea o segnarlo: cosa c’è di meglio? L’ultima partita l’ho giocata contro Bonolis. È Juve-Inter anche lì».

Ha un primo ricordo del pallone? 
«Sì, a 8 anni: Boniperti che mi prende per mano e mi porta nello spogliatoio dopo una sfida Juve-Palermo di Coppa Italia. Sei piccolo, quell’immagine poi diventa mito. C’erano giocatori come Haller, con quel suo ciuffo biondo. Poi ho avuto la fortuna di vivere le cose da dentro. Gli anni più belli sono stati con Lippi allenatore, un legame forte con Inzaghi, e con Pessotto, che è un fratello».

Mercato: c’è qualcuno che le piacerebbe vedere alla Juve? 
«Un regista. Locatelli vale più come mezzala. Sono rimasto a Pjanic. Alla Juve deve arrivare un regista che sappia gestire tempi e ritmi, non puoi prescindere da uno così».

E poi la Champions: un obiettivo scontato o no? 
«Sono preoccupato perché vedo una squadra - va bene, anche sfortunata - che ha smarrito quella compattezza e quella cattiveria che l’avevano tenuta a galla. Sembra andata oltre quello che può dare. È come se tutto si fosse fermato a quel fallo di Milik al 20’ della partita contro l’Empoli. È una debolezza psicologica su cui lavorare. Sabato, contro la Lazio, si vedrà chi sono gli uomini. Quindi non c’è nulla di scontato».

Lei mancava in Rai dal 2017. La tv dove si è fermata? 
«Temo si sia venduta l’anima allo share. Ma per me chi guarda non è un cliente, è un utente. Dobbiamo dargli qualcosa di profondo, diverso, nuovo».

Nel calcio conta più l’idea di gioco o più i giocatori? 
«Il carisma dell’allenatore per trascinare è fondamentale, più dell’idea. Mou ha vinto mettendo Eto’o terzino contro il Barcellona. Ma prima lo devi convincere. Conte aveva carisma e idee, capacità di farsi ascoltare e coinvolgere».

I ragazzi vogliono cose veloci, adrenaliniche: il calcio per chi è oggi?  
«A me piace vivere le cose in modo prolungato, l’esasperazione della velocità è un altro limite di questa società. Soffriamo tutti di eiaculazione mentale precoce. Una volta era il telecomando, tac tac tac, e ora non ci basta più: vogliamo avere cinque tv tutte insieme, e alla fine perdiamo la vita. Ci ruba l’anima».

Il carisma conta anche in tv?
«I volti in tv hanno uno spessore, una credibilità. Se fai un quiz accendi e spegni, e via. Ma quando fai un altro tipo di prodotto devi essere credibile e devi avere qualità. Ai miei ragazzi dico sempre: “Vuoi stare in A? Ok, ci puoi stare come la Juve o come una squadra di provincia”. Io voglio starci con gente che sa vincere».

Che effetto le fa tornare in Rai? 
«Un’emozione davvero particolare. Ma bisogna essere attenti, concentrati: lavorare molto e parlare poco».

Si sente un uomo diverso? 
«Quando passi attraverso delle tempeste dure hai due possibilità: sparire in mare oppure quel mare lo puoi attraversare con coraggio, uscendo dalla tempesta. La tua anima fa fatica, eh. Le ferite hanno un costo. Però cresci umanamente. Ho imparato che non bisogna mai mollare, anche se hai paura». 


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