INVIATO A TORINO - Una volta bastava dire «vincere non è importante» per sentirsi rispondere dagli juventini che in realtà «è l’unica cosa che conta». Erano in tanti a pensarla così, anche e soprattutto all’interno del club. La ricerca spasmodica del successo, la spavalderia di annunciarlo come un obiettivo alla portata e la consapevolezza di non sentirsi inferiori a nessuno, stile di agnelliana e bonipertiana memoria, oggi si sta lentamente annacquando in una multinazionale che guarda al futuro e nel frattempo cambia pelle. È l’equilibrio finanziario adesso a orientare il mondo. La Juve da questo punto di vista si è rimessa in carreggiata: la nuova governance sta abbattendo il monte ingaggi (oggi attorno ai 114 milioni rispetto ai 260 del 2019-20), ha ringiovanito la rosa (24 anni di media), attinge a piene mani dalla NextGen e ha avviato un nuovo progetto con un allenatore emergente, Thiago Motta, pur spendendo circa 160 milioni (rateizzati) nell’ultima finestra di mercato.
Le ambizioni della Juve
Eppure i tempi cambiano, anche nella comunicazione. John Elkann, l’ad di Exor, nonché la grande mente della rivoluzione di una società che dopo la batosta del caso plusvalenze è tornata a strizzare l’occhio alle grandi istituzioni (Figc, Uefa ed Eca), prendendo le distanze dai ribelli della Superlega, pochi giorni fa ha pronunciato parole eloquenti: «Siamo una squadra giovane e il nostro obiettivo è solo migliorare». L’amministratore delegato del club, Scanavino, ha sempre ribadito che «la competitività deve andare di pari passo alla sostenibilità», mentre il direttore tecnico Giuntoli predica «calma» e chiede «tempo». Persino Gigi Buffon, uno abituato a toccare il cielo, ha preferito volare basso: «Penso che Thiago Motta stia facendo molto bene per essere il primo anno e credo che la Juve, visto che è cominciato appena adesso il progetto, non abbia il dovere di vincere. Deve fare il meglio possibile». Anche nel bilancio approvato dal club nell’ultima assemblea degli azionisti non si parla apertamente né di scudetto né di trofei, bensì di qualificazione alla prossima Champions e di raggiungimento degli ottavi di finale di questa edizione. Mancare questi obiettivi comporterebbe, si legge, «un impatto negativo, anche significativo, sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria». Dopotutto, nel calcio 4.0 gli scudetti e le coppe valgono molto meno di un giro di giostra nei grandi tornei internazionali. Non serve mica strafare: entrare tra le prime 16 d’Europa è sufficiente per incassare dai 50 ai 60 milioni di soli premi, senza considerare sponsor e incassi. I conti della Juve lo certificano: le perdite per 199 milioni di euro sono causate in gran parte - 130 milioni - proprio dall’anno di esilio dall’Europa che conta. Più che vincere, l’importante è partecipare. Lo spirito del barone de Coubertin sembra aleggiare sulla Continassa, con buona pace di quello zoccolo duro di appassionati che iniziano a mugugnare, non trovando tutto questo gusto in un quarto posto.