Colloqui con i giocatori e ultimatum a Thiago Motta: i giorni di fuoco in casa Juve

Lui non si dimette e il club non lo esonera, ma contro il Genoa si gioca davvero tutto. Il 4° posto non aspetta: la Signora avrà tre scontri diretti, tutti fuori casa
Giorgio Marota

Si sono guardati negli occhi all’ora di pranzo. E prima di ordinare il dessert è stato chiesto a Motta perché la sua Juve ha cominciato a sciogliersi come il gelato d’estate e se sente ancora la stima del gruppo. «Se ci sono dei problemi, è il momento di tirarli fuori», è stato il senso del discorso fatto da Cristiano Giuntoli al suo allenatore il giorno dopo il crollo di Firenze. Anche ieri sono proseguiti quei confronti cominciati nello spogliatoio del Franchi con la reprimenda del direttore tecnico alla squadra, a protezione del lavoro di un tecnico che stima e di cui si fida. Giuntoli aveva etichettato come «inaccettabile» la figuraccia contro i viola. A tavola ieri c’era anche l’amministratore delegato Scanavino, diretta espressione della proprietà. Motta ha ribadito a entrambi di avere il pieno controllo di sentimenti e umori della squadra ed è convinto che il quarto posto non gli sfuggirà. Nelle ultime nove partite ci saranno tre scontri diretti contro Roma, Bologna e Lazio - tutti e tre fuori casa - e il clima attorno alla Signora pare sempre più bollente vista la contestazione feroce dei tifosi.  

Thiago Motta in bilico: con il Genoa è decisiva

La Juve è fragile. Se prende un colpo, va a terra e non si rialza più. Quella difesa che in autunno sembrava impenetrabile come il cemento armato oggi ha la consistenza del burro, mentre l’attacco pare fatto di gomma. Si è depresso persino Kolo Muani, l’attaccante arrivato a gennaio con il fuoco dentro e la dinamite nei piedi, capace di segnare 5 gol nelle prime tre gare prima di scomparire pure lui nella desolazione generale. Se le cinque vittorie di fila in Serie A nel giro di un mese (da inizio febbraio a inizio marzo) sono state offuscate mediaticamente dalle eliminazioni in Champions e in Coppa Italia in due mercoledì da incubo, alle clamorose sconfitte con Atalanta e Fiorentina seguirà uno stacco di tredici giorni che inevitabilmente alimenterà tensioni, polemiche e voci. Alla ripresa contro il Genoa, sabato 29 marzo, Thiago non potrà più sbagliare.  
Per sua fortuna, la dirigenza non l’ha abbandonato neppure stavolta. Forse perché alla Juve sanno tutti che se cade Motta rischia di affondare insieme a lui l’intero progetto di restyling tecnico e societario, attuato con la convinzione di accantonare la pesante eredità della gestione Agnelli. Non è detto che John Elkann possa essere così comprensivo pure a giugno, quando il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo avrebbe effetti devastanti sui conti del club. L’ultima volta senza Champions nel 2023-24 (un esilio forzato) è costata dagli 80 ai 100 milioni di euro in termini di ricavi, oltre a bloccare quasi del tutto il mercato in entrata come confermarono le due sessioni a costo zero con Allegri in panchina. Va ricordato, inoltre, come la Juve abbia già impegnato circa 70 milioni per le rate dei calciatori acquistati nell’ultima finestra estiva (inclusi i riscatti di Kalulu e Kelly), che il cartellino di Kolo Muani senza un ulteriore prestito costerebbe dai 45 ai 50, che per tenere Conceiçao ne servono altri 30 e che la squadra andrebbe rinforzata nella prima settimana di giugno per non arrivare al Mondiale per Club con gli stessi difetti attuali. Nel frattempo, c’è chi invoca la saggezza di Chiellini, manager ancora distante dalle cose di campo.  


© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

Colloqui e ultimatum in casa Juve: cosa è successo

«Non mi dimetto», aveva tuonato Motta dopo il ko di domenica. Giuntoli dovrebbe iniziare una serie di colloqui personali per comprendere le ragioni di prestazioni così altalenanti; ascolterà e si confronterà anche con i 14 calciatori che sono partiti per i ritiri delle nazionali e che, almeno per qualche giorno, resteranno lontani dalle tossine. La sosta può avere un doppio effetto: rasserenare il clima o aumentare le incomprensioni. L’uomo mercato del club ha già smentito, la settimana scorsa, di aver contattato Tudor, mentre continua il toto-nomi per l’eventuale sostituto di Motta. Anche l’ipotesi Mancini, però, non sembra aver preso mai realmente piede. Nessun grande allenatore, a questo punto della stagione e in una situazione così complessa, entrerebbe in corsa. L’esonero, tra l’altro, non è stato quasi mai contemplato in 127 anni di Juve. Solamente sei gli allenatori cacciati a campionato in corso: Puppo nel 1957, Brocic nel 1958, Amaral nel 1963, Carniglia nel 1969 e, in tempi più recenti, Ranieri nel 2009 (a due giornate dalla fine) e Ferrara nel 2010. Insomma, Thiago vorrebbe evitare di entrare nel libro di storia del club dalle note a piè di pagina


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Si sono guardati negli occhi all’ora di pranzo. E prima di ordinare il dessert è stato chiesto a Motta perché la sua Juve ha cominciato a sciogliersi come il gelato d’estate e se sente ancora la stima del gruppo. «Se ci sono dei problemi, è il momento di tirarli fuori», è stato il senso del discorso fatto da Cristiano Giuntoli al suo allenatore il giorno dopo il crollo di Firenze. Anche ieri sono proseguiti quei confronti cominciati nello spogliatoio del Franchi con la reprimenda del direttore tecnico alla squadra, a protezione del lavoro di un tecnico che stima e di cui si fida. Giuntoli aveva etichettato come «inaccettabile» la figuraccia contro i viola. A tavola ieri c’era anche l’amministratore delegato Scanavino, diretta espressione della proprietà. Motta ha ribadito a entrambi di avere il pieno controllo di sentimenti e umori della squadra ed è convinto che il quarto posto non gli sfuggirà. Nelle ultime nove partite ci saranno tre scontri diretti contro Roma, Bologna e Lazio - tutti e tre fuori casa - e il clima attorno alla Signora pare sempre più bollente vista la contestazione feroce dei tifosi.  

Thiago Motta in bilico: con il Genoa è decisiva

La Juve è fragile. Se prende un colpo, va a terra e non si rialza più. Quella difesa che in autunno sembrava impenetrabile come il cemento armato oggi ha la consistenza del burro, mentre l’attacco pare fatto di gomma. Si è depresso persino Kolo Muani, l’attaccante arrivato a gennaio con il fuoco dentro e la dinamite nei piedi, capace di segnare 5 gol nelle prime tre gare prima di scomparire pure lui nella desolazione generale. Se le cinque vittorie di fila in Serie A nel giro di un mese (da inizio febbraio a inizio marzo) sono state offuscate mediaticamente dalle eliminazioni in Champions e in Coppa Italia in due mercoledì da incubo, alle clamorose sconfitte con Atalanta e Fiorentina seguirà uno stacco di tredici giorni che inevitabilmente alimenterà tensioni, polemiche e voci. Alla ripresa contro il Genoa, sabato 29 marzo, Thiago non potrà più sbagliare.  
Per sua fortuna, la dirigenza non l’ha abbandonato neppure stavolta. Forse perché alla Juve sanno tutti che se cade Motta rischia di affondare insieme a lui l’intero progetto di restyling tecnico e societario, attuato con la convinzione di accantonare la pesante eredità della gestione Agnelli. Non è detto che John Elkann possa essere così comprensivo pure a giugno, quando il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo avrebbe effetti devastanti sui conti del club. L’ultima volta senza Champions nel 2023-24 (un esilio forzato) è costata dagli 80 ai 100 milioni di euro in termini di ricavi, oltre a bloccare quasi del tutto il mercato in entrata come confermarono le due sessioni a costo zero con Allegri in panchina. Va ricordato, inoltre, come la Juve abbia già impegnato circa 70 milioni per le rate dei calciatori acquistati nell’ultima finestra estiva (inclusi i riscatti di Kalulu e Kelly), che il cartellino di Kolo Muani senza un ulteriore prestito costerebbe dai 45 ai 50, che per tenere Conceiçao ne servono altri 30 e che la squadra andrebbe rinforzata nella prima settimana di giugno per non arrivare al Mondiale per Club con gli stessi difetti attuali. Nel frattempo, c’è chi invoca la saggezza di Chiellini, manager ancora distante dalle cose di campo.  


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