Ecco perché è rinata. La Lazio non sarà una meteora

Il significato di un’impresa che supera il terzo posto e la qualificazione ai preliminari di Champions
Ecco perché è rinata. La Lazio non sarà una meteora
Fabrizio Patania
5 min

ROMA - Il terzo posto della Lazio è strameritato, perché Pioli e i suoi giocatori hanno conquistato la qualificazione ai play off di Champions League inseguendo il traguardo per nove mesi con un’ostinazione feroce, gli applausi della gente e il consenso del campo, giudice inesorabile e infallibile. Hanno fatto vedere un bellissimo calcio, a volte poco efficace e reddittizio, ma quasi sempre divertente, con punte di gioco spettacolare: quattro gol alla Fiorentina e al Napoli, quarta e quinta del campionato, quattro vittorie per 4-0 (non succedeva dai tempi di Zeman), 70 gol realizzati in 38 giornate, secondo miglior attacco della serie A e una finale di Coppa Italia persa dopo aver tenuto testa ai campioni d’Italia della Juve, finalisti di Champions, per 120 minuti. La gente laziale allo stadio Olimpico non si divertiva così tanto forse dai tempi di Eriksson e Cragnotti: quella era una squadra fortissima e vincente, al momento inarrivabile per titoli e densità di fuoriclasse, ma questa di Pioli è riuscita a giocare un calcio ancora più spettacolare e avvincente. Un laboratorio di idee e di colpi geniali, reso fattibile da una batteria di ottimi giocatori e da un maestro di calcio come si è rivelato il tecnico emiliano.

ROMANZO - La Lazio ora dovrà meritare l’ingresso in Champions attraverso i durissimi preliminari di fine agosto. Servirà un briciolo di buona sorte nell’urna per evitare un colosso come il Manchester United di Van Gaal e altri squadroni come Bayer Leverkusen e Valencia. Lotito, dopo otto anni, può tornare ai livelli toccati per la prima e unica volta nel 2006 con il binomio Sabatini-Rossi. Era un altro calcio, una Lazio molto meno ricca di oggi e soprattutto senza la stessa prospettiva. Il terzo posto conquistato nello spareggio da romanzo del San Paolo entra nella galleria delle imprese di tutti i tempi del club biancoceleste non per il traguardo, ma per il significato. Dieci mesi fa l’Olimpico era deserto, i tifosi chiedevano a Lotito e Tare di andarsene, di lasciare la società ad altri, in tanti non avevano aderito alla campagna abbonamenti in segno di protesta. In campo, come ha sottolineato Pioli, non è avvenuto un miracolo. Ci sono delle qualità indiscusse in squadra: De Vrij è davvero il difensore centrale più forte del mondo, Felipe Anderson un astro nascente, Klose è stato il centravanti che ha segnato di più nella storia dei Mondiali e della nazionale tedesca, Biglia è un regista di spessore internazionale, Candreva fa impressione per continuità di rendimento ad altissimo livello, Cataldi ha un futuro assicurato in maglia azzurra. E intorno ai top player ci sono giocatori importanti come Parolo, Gentiletti, Basta, Marchetti, Lulic, Djordjevic, Mauri e tutti gli altri, perché sarebbe ingeneroso trascurarne alcuni, come ha dimostrato la partita di Napoli, dove sono diventati decisivi alla fine Onazi e Ledesma, tra i meno utilizzati da Pioli, costretti quest’anno ad un ruolo da comprimari proprio a causa della qualità complessiva del gruppo.

ECCO IL PUNTO - La notte di Formello, invasa da diecimila tifosi in festa in attesa del pullman della Lazio di ritorno da Napoli, sembra incredibile ma si può spiegare con semplicità. E riassume il significato profondo di una stagione indimenticabile, che va oltre il terzo posto meritato sul campo. La gente laziale aveva voglia di appassionarsi, di tornare a divertirsi, di innamorarsi di nuovo della propria squadra. Pazienza se il derby con la Roma è stato perso e il secondo posto è sfumato tra i rimpianti. I tifosi, riempiendo Formello giovedì per dare la carica in vista della trasferta al San Paolo, hanno dimostrato proprio questo: si può credere in un gruppo di giocatori e nel lavoro della società a patto di essere ripagati con il sacrificio e quel senso di appartenenza alla bandiera che è sempre stato un segno distintivo della Lazio, si può passare dai fischi e da una contestazione durissima agli applausi se si vedono gli sforzi della squadra e dei dirigenti come è successo in modo chiaro negli ultimi mesi. Lotito e Tare hanno riacquistato credibilità perché hanno lavorato in profondità sulla Primavera, già dopo la Coppa Italia del 2013 avevano piazzato colpi importanti (Biglia e Felipe) e perché l’estate scorsa, spendendo qualche milione in più di quanto consentisse il bilancio, hanno completato la rifondazione come era necessario per rispondere alla contestazione e alla crisi. Ora dovranno gestire il successo in modo oculato, sempre nel solco del fair play finanziario, meglio di quanto erano riusciti in passato, quando si erano beati e cullati sugli allori con un eccesso di arroganza sportiva. Questa volta ci sono maggiori garanzie: il nuovo progetto affidato a Pioli, un gruppo dall’età media giovane e di grandi prospettive, l’entusiasmo dei tifosi. Tutto diventerà più facile ed appassionante. La Lazio è rinata, non sarà una meteora ma durerà a lungo e continuerà a giocare un bellissimo calcio per la gioia dei suoi tifosi.


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