ROMA - È tornato Senad Lulic. La Lazio ritrova il capitano dopo un lungo infortunio alla caviglia. Si può dire che è stato un acquisto di gennaio. Fascia sinistra meno scoperta, spogliatoio più unito. E Inzaghi sorride. Il bosniaco, ai microfoni di Lazio Style Channel, si è raccontato in una lunga intervista ricordando anche il passato: “Ormai sono passati quasi dieci anni dal mio arrivo a Roma. Per me è stato più semplice conoscendo la lingua. Ho giocato a Bellinzona dove si parlava italiano. Mi trovo benissimo qui, ogni anno si rinnova il mio amore per questa squadra. Tutti mi ricordano il mio esordio a San Siro, come ero entrato in campo. Non ci si aspettava tanto da me. Su un calciatore che viene dalla Svizzera, dallo Young Boys, non si ripongono le stesse aspettative che si hanno, ad esempio, su uno come Klose, come Lorik Cana o Cissé. Si punta a occhi chiusi su gente di questo tipo. Io ho potuto lavorare in silenzio dietro a loro e dimostrare il mio valore negli anni. Avevo la tranquillità di poter lavorare, di poter imparare".
Il passato
“Ho partecipato a diversi tornei dopo la guerra. Il calcio e il pallone erano sempre presenti, anche durante i conflitti in Bosnia. Non si giocava sull'erba come facciamo noi oggi, ma su strada, sul cemento. Il pallone però c'era sempre, era la mia libertà in quel momento. Poter giocare in tranquillità e non aver paura era bello. Anche in Svizzera è stato un periodo molto duro. Ma per quello che abbiamo oggi dobbiamo ringraziare quel paese. Noi dormivamo tutti e cinque nella stessa camera e speravamo di poter rimanere lì. C'era sempre questa paura di doversene andare qualche mese dopo. Fortunatamente alla fine siamo riusciti a restare e quella è diventata la mia seconda casa".
Il ricordo più bello: 26 maggio 2013
"Sono state emozioni infinite. Queste finali sono particolari. Vedendo la partita, i giocatori che erano da un paio di anni qua, come Ledesma e Mauri, si leggeva benissimo nei loro occhi quanto pesasse. Io non sentivo quella pressione così tanto. Oggi invece lo so cos'è e lo sento. Diciamo che in quel giorno mi ha aiutato perché non ero così nervoso come altri. Per fortuna è andata così. Il derby è sempre una cosa molto bella e particolare soprattutto qui a Roma. Radu e Parolo? Stefan è timido davanti alle telecamere, però in palestra e nello spogliatoio ti diverte e ti fa stare bene. Ci conosciamo dall'inizio con lui, con Marco un po' di meno ma sempre da tanto. Siamo i vecchietti dello spogliatoio e si è creato davvero un bel rapporto. Stefan ti dice sempre quello che pensa, che sia positivo o negativo. Lui è diretto ma al tempo stesso divertente. Un aneddoto bello? Ce ne sono tantissimi. Marco è uno diplomatico, quando c'è qualcosa che non capisci, lui è un punto di riferimento per tutti, soprattutto per i ragazzi stranieri. Ti spiega tutto, lo soprannominiamo il professore, il commercialista, tutto (ride, ndr). Anche con lui si è creato un rapporto bellissimo. I miei dieci anni di Lazio sono passati velocissimi. Siamo arrivati qui e adesso abbiamo una famiglia con tre figli. Il tempo vola e noi siamo cambiati. Abbiamo un altro senso della vita. Il mio senso della vita? Ho vissuto tanto e sono ancora giovane. Difficile spiegarlo quando vedi tante cose brutte e belle. Cercherò di trasmettere tutto il mio bagaglio ai miei figli insieme a mia moglie".
La Supercoppa di Riyad
"Quando ho segnato avevo qualcosa da farmi perdonare perché l'1-1 della Juventus era colpa mia. Quindi è stato bello poter segnare e riportare sopra la squadra. Ci eravamo preparati tantissimo e tenevamo molto a quella partita. Vincere è una soddisfazione a quanto fatto durante tutto l'anno. Abbiamo battuto la Juventus due volte in 14 giorni. Ci ha dato una consapevolezza importante, ci ha fatto sentire forti e ci ha fatto credere in quello che facevamo".