Lazio, se osano le aquile

Lazio, se osano le aquile
Alessandro Barbano
3 min

Cominciamo subito col dire che il Daspo a vita non ci piace, come nessuna sanzione capitale e nessuna retorica securitaria che invochi di gettare le chiavi della cella. Poiché a nessuno, neanche al peggior criminale deve essere negata una chance di redenzione e di riabilitazione, secondo quanto la Costituzione prescrive e la pietas, cristiana e laica, suggerisce. Figuriamoci se possiamo augurare l’interdizione perpetua dagli spalti a questo ragazzotto che, all’ottantasettesimo di Lazio-Inter, dalla Tribuna Tevere vomita il suo scimmiesco ululato contro l’esterno interista Dumfries, punito dall’arbitro per un fallo su Marusic. Il suo gesto racconta, come direbbe il grande antropologo René Girard, un riflesso mimetico, cioè l’imitazione acritica e rassicurante di un rito collettivo.

Però se nulla accade, e se nessuno gli chiede conto di ciò che ha fatto, il ragazzotto, e altri come lui, si convinceranno che quell’insulto vale la pena di ripeterlo, perché riempie il vuoto che sentono dentro di sé e garantisce un’identificazione con un modello che, in quanto permesso, diventa socialmente accettato. Questo sarebbe terribile, perché aggiungerebbe alla subcoscienza degli autori la nostra dolosa indifferenza o, peggio, complice tolleranza.

Sono cinque giorni che le immagini dell’ululato, riprese dalla telecamera di Dazn, circolano sul web senza che la Lazio abbia provveduto a identificare il giovane, a denunciarlo alle autorità, e a cacciarlo dallo stadio per un tempo ragionevole. Cinque anni? Anche troppi. Forse ne basterebbero tre, poiché è la misura la vera forza della sanzione. Ma se la Lazio non interviene, come hanno fatto in casi analoghi Juve e Fiorentina, tanti altri come quel ragazzo penseranno che si può fare. E altri ancora, diversi da quel ragazzo, penseranno che alla Lazio, sotto sotto, quel gesto non dispiace poi tanto, oppure che i suoi dirigenti non hanno il coraggio di sfidare i gruppi a cui quel ragazzo appartiene.

Il razzismo e gli idioti saluti fascisti non richiedono reazioni esemplari, né tantomeno operazioni spot, come quelle insopportabili campagne di marketing del buonismo con cui molti club e la stessa Lega si lavano la coscienza. Ci vuole molto di meno e, allo stesso tempo, molto di più: una banale, ferma coerenza. Poiché la malapianta della violenza verbale è cresciuta nella doppiezza, reale e percepita, della classe dirigente del calcio. Perciò bene ha fatto la Lazio a sospendere il falconiere nostalgico del Duce, dimostrando che le aquile volano e osano anche senza il fascio littorio. Perciò, ancora, bene farebbe a smascherare l’ululatore di cui, sul Corriere dello Sport-Stadio, parleremo ogni giorno fino a quando chi può, e deve muoversi, non si sarà mosso.


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