Lazio, la famiglia di Eriksson

Leggi il commento sul ritorno all'Olimpico del tecnico svedese, che oggi sarà salutato dal pubblico biancoceleste
Lazio, la famiglia di Eriksson© ANSA
Stefano Chioffi
4 min

C’è una parola svedese che si traduce senza l’aiuto del vocabolario: “familj”. Eriksson ha lasciato la sua villa nella contea di Värmland, quasi al confine con la Norvegia, per regalarsi una serata in famiglia. Salas aveva pensato di prendere un aereo da Santiago per abbracciarlo, perché ha capito che nella vita a certe persone non bisogna mai smettere di dire grazie. È rimasto bloccato in Cile, non è riuscito a partire. Si erano conosciuti nel 1998, durante il ritiro a Vigo di Fassa: il Matador era arrivato dal River Plate e nel Mondiale in Francia aveva segnato due gol all’Italia di Baggio e Vieri. Nella Lazio di Cragnotti hanno trascorso il periodo più bello della loro carriera e quando sentono la nostalgia di quei giorni si fanno una passeggiata virtuale su YouTube. Questa è un’altra domenica di baci e inchini, di applausi e giri d’onore, dopo l’evento dedicato il 12 maggio ai campioni del 1974. I tifosi aspettano Sven allo stadio Olimpico come un vecchio amico a cui viene riservato ogni volta un posto a capotavola. In tribuna Monte Mario anche la moglie e i figli di Sinisa Mihajlovic. Nel calcio ci si può allontanare e separare, ma gli affetti veri non hanno la durata di un contratto. Tenerezza e gratitudine, la Lazio ha organizzato per Eriksson una festa di colori e sentimenti. Non solo per il ricordo di uno scudetto, per la Coppa delle Coppe vinta a Birmingham, per la Supercoppa Europea ricevuta a Montecarlo dal principe Alberto, dopo la finale contro il Manchester United di Ferguson e Beckham. A generare questo vincolo non sono stati esclusivamente i successi, ma la sua concezione del lavoro. Sven ha sempre saputo dare un valore ai contenuti, scegliendo i toni giusti in un ambiente del calcio dominato dal pensiero distorto che servano i megafoni per essere seguiti e rispettati. Ha dimostrato che nella gestione di un gruppo si può risultare riconoscibili, in termini di carisma e personalità, senza alzare la voce e introdurre regole da caserma. Non contano le parole, ma l’efficacia di un messaggio. Con la sua coerenza si è fatto ascoltare e stimare.

Una traccia inconfondibile che lo ha reso unico, dalla prima partita sulla panchina del Degerfors all’ultima da ct delle Filippine. Un insegnamento che vale più della Coppa Uefa conquistata con il Göteborg di Strömberg e Corneliussion, di Nilsson e Hysen. Una diversità che è stata il segreto dei tre titoli vinti nel Benfica prima con Chalana e Coelho, poi con Rui Aguas e Vitor Paneira. Un’impronta che ha permesso alla sua Lazio di collezionare sette trofei. Sostanza e stile, le pressioni non gli hanno tolto il sonno. Mai parlato di stress, solo di schemi e tattica. Cultura nordica: l’obiettivo è piantare la bandierina sulla cima della montagna. Tante sfumature del suo carattere lo avvicinano a Maestrelli e a Liedholm, che nella capitale sono due monumenti. Equilibrio, eleganza, un’intelligenza raffinata, la capacità di raccontare la sua battaglia contro quel nemico invisibile che i medici hanno scoperto all’inizio di gennaio. A Lisbona lo chiamano ancora il “rettore di Torsby”: nell’estate del 1982 era partito da Göteborg con gli occhiali tondi da docente universitario e una valigetta in pelle. Ha esplorato il mondo, è stato ct dell’Inghilterra, del Messico e della Costa d’Avorio, ha allenato in Thailandia, in Cina e negli Emirati Arabi. La Lazio, però, rimane casa sua, un’altra famiglia. Si è sempre tenuto in tasca le chiavi di Formello.


© RIPRODUZIONE RISERVATA