© Getty Images Lazio frenata senza Europa, calano i ricavi
Il bilancio consolidato 24/25 della Lazio conferma le difficoltà della società, figlie soprattutto di una carenza strutturale di ricavi e di una dipendenza eccessiva dalle coppe europee. L’assenza dalla Champions ha causato un buco da quasi 50 milioni nei ricavi, da 195 a 146, perché l’Europa League offre introiti nettamente inferiori, mentre il costo della rosa non può ovviamente scendere nella stessa misura. La Lazio ha sostenuto 18 milioni in meno di costi per le remunerazioni del personale (da 116 a 98) mentre l’ammortamento dei cartellini si mantiene costante. Di conseguenza la Lazio farà fatica a mantenere anche il parametro dello squad ratio (il rapporto tra costi della rosa e ricavi) entro il 70% fissato da Uefa e norme federali. L’indicatore è misurato nell’anno solare, anziché in quello sportivo, ma la prima metà della stagione attuale non porterà notevoli miglioramenti.
Lazio, l'analisi del bilancio
In un anno penalizzato da ricavi bassi, un club dovrebbe compensare col player trading ma anche da qui arrivano note dolenti per la Lazio: rispetto ai 40 milioni dell’anno precedente (beneficiato dalla cessione di Milinkovic) il 24/25 è stato più avaro, con plusvalenze per 11 milioni, frutto delle cessioni di Luis Alberto (8,3), Immobile (0,7) e Casale (2,3). Il risultato netto è quindi in rosso per 17 milioni, portando il patrimonio netto consolidato in territorio negativo (-16,8). Soffre anche il rendiconto di cassa che denota un assorbimento di liquidità di 9 milioni peggiorando l’indebitamento finanziario da 38 a 66,3.
Le brutte notizie non finiscono qui, perché l’assenza totale dalle coppe potrebbe produrre un bilancio in fotocopia nel 25/26 quindi la situazione patrimoniale e l’equilibrio finanziario denoteranno ulteriore sofferenza. Tutto ciò aggravato dal blocco del mercato che ha impedito di ottenere plusvalenze in estate: da Tchaouna arriverà un beneficio di 6 milioni mentre ulteriori interventi potranno avvenire solo nella sessione invernale (di solito avara di scambi) e nella parte iniziale della finestra estiva. La Lazio soffre dell’assenza di fonti di ricavo raffrontabili alle dirette concorrenti, ma soprattutto inadeguate alle ambizioni della tifoseria: un problema comune a diverse piazze. Il deficit di risorse si deve a ricavi da stadio limitati (28 milioni contro 55 della Roma e 70 di Inter e Milan) ma anche da ricavi commerciali molto bassi: 21 milioni contro i 70 della Roma e del Napoli, 112 l’Inter, 143 il Milan. In pratica, l’unica fonte consistente è quella dei diritti tv nazionali. Poi molto (troppo) dipende per tutti dalle coppe ma, se le altre voci di ricavo sono deficitarie, una mancata qualificazione costituisce un fattore letale per l’equilibrio economico.
La questione della qualificazione in Champions
Per molti club, il miraggio dei premi Uefa finisce per giustificare azzardi economici. Secondo una diffusa – ma errata – valutazione, nel calcio bisogna investire per vincere e dunque per ottenere ritorni economici. Sarebbe una logica gestionale corretta nella prassi normale, nei settori industriali in cui è ragionevolmente possibile prevedere il ritorno di un investimento. Non nel calcio dove il discrimine tra vittoria e sconfitta, dunque tra ritorno finanziario e dissesto, può dipendere dal rimbalzo di una palla, da un rigore sbagliato, da un tiro che finisce a pochi centimetri dalla riga. L’equilibrio dovrebbe dipendere solo da entrate ragionevolmente prevedibili mentre la Champions dovrebbe essere il fattore in più, non l’elemento vitale. Non solo la Lazio deve trarre utili insegnamenti da questo inciampo.
