
Cresciuto con le Colonne d’Ercole a un tiro di schioppo da casa. Quelle che nell’antichità rappresentavano il limite tra ciò che è noto e ciò che è sconosciuto. Proprio a La Linea de la Concepcion, città che collega la Spagna con Gibilterra, Tete Morente supera il limite che sembrava impedirgli di diventare un calciatore. Lo fa tornando a casa, a 14 anni, dopo due anni nel settore giovanile del Villarreal, dove non potevano più garantirgli il posto in squadra perché non cresceva abbastanza. Riparte dall’Atletico Zabal, squadra della sua città, per essere poi chiamato dall’Atletico Madrid e iniziare un lungo giro della Spagna. E poi finire a Lecce.
Una città che le ricorda la sua terra.
«Sì, è molto simile alla mia città d’origine, La Linea. Si percepisce di stare anche qui al Sud: le persone sono molto affettuose, amichevoli. Sono stato accolto bene sia nel club che in città. Ma la cosa che più mi ha sorpreso sono i tifosi: tutte le volte in cui andiamo a giocare in trasferta ci seguono in tantissimi».
Da quando arrivato Giampaolo lei è un titolare fisso e la squadra ha cambiato approccio. Cosa è cambiato?
«Giampaolo vuole che non buttiamo mai la palla, che costruiamo da dietro e che non lanciamo lungo. Noi esterni d’attacco ci troviamo a giocare molti metri più avanti e più “aperti” rispetto a quanto accadeva con Gotti. Così abbiamo più possibilità di giocare l’uno contro uno. Al suo primo giorno con noi, mi ha preso da parte e mi ha chiesto in quale posizione mi sentissi più a mio agio. Gli ho detto che la fascia sinistra, dove ho sempre giocato, è la zona di campo in cui mi trovo meglio. Ora pressiamo molto più in avanti e possiamo andare in porta più velocemente».
Com’è stato l’impatto con il calcio italiano?
«Da bambino guardavo la Serie A, mi piaceva molto quando c’era Ronaldinho nel Milan. Più in generale ho sempre sentito parlare delle differenze con la Spagna sulla tanta corsa negli allenamenti e sulla molta tattica. E ora che sono qui posso dire che è tutto vero».
Quale squadra l’ha impressionata di più in questi mesi?
«L’Atalanta. Era la mia prima partita e notai subito il grande cambiamento. Una squadra molto fisica che pressa per tutta la partita e lo fa benissimo, con grande organizzazione e compattezza. Sono tutti forti fisicamente, non danno una palla per persa e tatticamente sono perfetti»
Nell’Under 19 dell’Atletico Madrid giocava con Theo Hernandez, sulla stessa fascia
«Già da piccolo era un animale, fisicamente era un toro. Quando andava in sovrapposizione, la fascia sembrava un’autostrada. Incredibile. Ho avuto la fortuna di giocare con lui e con suo fratello Lucas, che già stava in prima squadra ma veniva con noi per disputare la Youth League»
Anche se la sua fede calcistica è un’altra...
«Ho seguito mio nonno, sono molto tifoso del Real Madrid. Si immagini l’emozione di giocare al Camp Nou e fare gol al Barcellona...»
Ai tempi dell’Elche, dove si è consacrato. Ora invece qual è l’obiettivo personale?
«Migliorare rispetto alla stagione precedente. L’anno scorso ho segnato 8 gol e quindi l’obiettivo minimo è farne 9».
Sarà più difficile se, come sembra, dovrete fare a meno di Dorgu.
«Innanzitutto, saremmo felici per lui, andrebbe in uno dei migliori club del mondo. Però sì, lui ci aiuta tanto, e dovremmo tutti dare qualcosa in più per sopperire alla sua assenza. Ognuno di noi dovrà assumersi più responsabilità per portare la squadra all’obiettivo, la salvezza»