Dalla fascia a Bonucci fino a Gattuso, Montolivo: “Condannato a smettere”

Intervista esclusiva al centrocampista che ha giocato l’ultima gara a 33 anni: «Se avessi fatto la guerra, forse avrei ottenuto qualcosa, ma non mi sarei più potuto guardare allo specchio. Rancore? No, non io...»
Riccardo Montolivo© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
4 min

 «Alla fine ho ricevuto anche i complimenti dell’allenatore, e sai cosa ha aggiunto?». No, evidentemente non lo posso sapere. «Che lui al posto mio avrebbe fatto il pazzo». Azz, e tu? «E io mi sono sentito preso in giro una volta di più». Riccardo Montolivo ha superato l’amarezza («quando è andata, è andata»), gli resta solo il desiderio di sapere. Sapere perché è stato condannato a smettere a 34 anni. «Trentatré - precisa - ho giocato l’ultima volta a maggio 2018, all’Atleti Azzurri d’Italia, lo stesso stadio in cui avevo esordito sedici anni prima. Due, sette, sette. Due stagioni nell’Atalanta, sette nella Fiorentina e sette nel Milan, anche se l’ultimo anno e mezzo è stato un calvario: messo ai margini, risposte mai date, verità aggirate o negate, strane dimenticanze, trascuratezze. Rancore? No, non provo rancore. Chi ha sbagliato nei miei confronti, chi mi ha mancato di rispetto, e ripetutamente, farà forse i conti con la propria coscienza». L’allenatore è Rino Gattuso, e quel nome glielo devo strappare fuori con il forcipe, il direttore sportivo Mirabelli, altro Milan. Altro, ma non del tutto. [...]

Le ragioni di Montolivo

«Alla fine di una stagione nella quale da gennaio avevo praticamente smesso di giocare non per mia volontà né per problemi fisici, l’allenatore mi dice che farò parte del gruppo pur perdendo la centralità. Accetto di rimettermi in gioco, sono all’ultimo anno di contratto. Poco prima della partenza per la tournée negli Stati Uniti, però, ricevo un sms dal team manager, l’ex arbitro Romeo: “Tu non vieni”. Motivazioni e spiegazioni, zero. Elliott subentra al cinese, a fine luglio Leonardo e Maldini prendono il posto di Mirabelli ereditando anche la mia situazione. Leonardo in qualche modo mi rassicura e da quel momento smetto di essere considerato a disposizione. [...]».

Del Milan eri il capitano. Ricordo che dovesti lasciare la fascia a Bonucci. «Non fui io a consegnargliela. Mi dissero che Yonghong Li aveva deciso che la fascia sarebbe passata a uno dei nuovi. Quando me lo comunicarono spiegai che lo trovavo ingiusto, che stavano commettendo un grosso errore poiché nello spogliatoio ci sono delle gerarchie che dovrebbero essere sempre rispettate. Feci i nomi di Bonaventura e Romagnoli. Niente, Bonucci» […]

I compagni di squadra non hanno mai mosso un dito in tua difesa? In fondo eri stato pur sempre il capitano del Milan. «Nel calcio di oggi ognuno pensa per sé, queste sono le stagioni della precarietà, degli spazi da conquistare e non mollare. La solidarietà, il senso del gruppo, roba d’altri tempi. E comunque non avrebbero potuto ottenere nulla. Io stesso dopo un primo incontro smisi di inseguire delle parole vuote: mi bastavano i fatti».

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