Ibra, il polpaccio di Natale

Ibra, il polpaccio di Natale© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
7 min

ROMA - Ibrahimovic si è fermato di nuovo ed è subito ripartita la litania dell’anzianità dell’impetuoso highlander che riuscì a sconfiggere anche il covid (sono parole sue): in perenne fuga da usure di ogni tipo, stavolta si è dovuto arrendere a un maledetto colpo di soleo. Vent’anni fa - forse anche dieci o cinque, purtroppo - qualcuno avrebbe titolato “Brutta tegola per Pioli”: in effetti l’assenza della guida svedese crea notevoli problemi al Milan, rischia di condizionare il doppio turno prenatalizio e procura nuove energie agli assedianti Inter, Juve, Roma, Napoli e Sassuolo.

La corsa a sei sta mettendo in serie difficoltà la squadra degli arbitri. «Io li prenderei a calci nel culo, tutti» mi diceva ieri un importante e assai ascoltato ex arbitro del quale non faccio il nome sennò mi manda a cagare e io non posso nemmeno espellerlo (verbo particolarmente appropriato). E ha aggiunto: «Non si può cacciare uno dopo tredici minuti con il secondo giallo per un fallo come quello commesso dal difensore del Torino (Singo, nda)». Mi sono domandato: si sarà indignato per l’entità del fallo o per il momento della partita? Perché proprio ieri ho letto l’interessantissima colonna di Paolo Casarin sul Corriere della Sera, la cui conclusione era questa: «Nel gioco del calcio, con regole chiare e note, non si possono rinviare decisioni che comportano provvedimenti disciplinari e che l’arbitro deve applicare fin dall’inizio. Non basta avere lo stesso metro per tutta la gara per essere considerato un buon arbitro. Il metro è solo quello della regola che prevede contemporaneamente fallo e sanzione, se prevista. Quanto alle offese (riferendosi all’invito di Insigne all’arbitro Massa, nda) mi sembra evidente che un’offesa accettata equivale a cancellare la figura dell’arbitro, di colui che certifica la regolarità della partita. A tutti i costi».

Questo finale di 2020 ha inevitabilmente rilanciato il tema. Mi rendo conto degli sforzi che stanno compiendo Rizzoli, Rocchi e compagnia e al tempo stesso ho trovato azzeccato l’intervento sul nostro giornale di Graziano Cesari che ha parlato di «formazione insufficiente: mancano i maestri». I direttori di gara sono obbligati a rinnovarsi, la tecnologia e la presenza di decine di telecamere impongono loro una preparazione diversa rispetto al passato, per formare una generazione di arbitri più “attuali”, ovvero in linea con l’evoluzione del ruolo e del calcio, potrebbero tuttavia servire almeno quattro, cinque anni. Nel frattempo che si fa?

Ma non di soli arbitri sopravvive il calcio senza pubblico, né risorse supplementari (i fondi d’investimento stanno riempiendo la Lega di richieste e di clausole). Proprio nelle pagine che seguono trattiamo il mercato invernale, o di correzione, che impegnerà da gennaio e per un mese le venti di A. Con bilanci più che sofferenti e liquidità azzerata immaginiamo che si moltiplicheranno gli scambi e i prestiti “agevolati” (molti club dovranno contribuire al pagamento degli stipendi dei giocatori dei quali si libereranno).

Paradossale è la situazione di Arek Milik, nazionale polacco non ancora ventisettenne in scadenza di contratto con il Napoli, che per liberarlo subito chiede 18 milioni. La Juve è in continuo contatto con l’agente, ma non intende sborsare l’intera somma, cosa che invece la Fiorentina è disposta a fare, anche se al momento non ha ancora ottenuto il gradimento dell’attaccante che preferirebbe la Juve o la Roma. Non meno curiosa è la situazione di Eriksen che lo scorso gennaio - contratto con il Tottenham in scadenza - fu pagato dall’Inter 20 milioni, una cifra altissima per un giocatore che sei mesi dopo si sarebbe liberato a zero. Eriksen non rientra nei piani di Conte: potrebbe essere prestato, ma accetterebbe lo spostamento temporaneo?

Infine il Papu Gomez. La rottura con Gasperini sembra insanabile, l’argentino l’ha peraltro inopportunamente certificata in un paio di occasioni. Sono curioso di vedere come andrà a finire, dal momento che colloco il Papu tra i migliori cinque - per qualità e importanza - del campionato. L’atalantino Vittorio Feltri l’ha risolta alla sua maniera: «Tu sei un grande giocatore, questo è indiscutibile» ha scritto su Libero. «Lo sei diventato all’Atalanta, sotto la guida esperta di Gasperini, prima non eri un cazzo, almeno questo ammettilo. Ora hai una certa età e non hai davanti un lungo percorso come campione, ti conviene patteggiare con l’allenatore e rimanere nerazzurro fino al termine della tua splendida carriera».

Se per i casi in questione - arbitri e mercato - mi sono appeso a due citazioni, non l’ho fatto certo per mancanza di convinzioni personali, credo piuttosto nell’utilità del dibattito (virtuale) soprattutto quando gli interlocutori - Casarin e Feltri - vanno lesti sul pratico, non sull’ideologia. E dunque la conclusione - dalla parte arbitrale - è che da troppo tempo si esprimono sospetti che si pensava potessero essere cancellati dalla tecnologia rinunciando all’approfondimento delle regole, delle circostanze, degli uomini, soprattutto delle annose esperienze che ci tramandò una classe arbitrale rispettata nel mondo. La giustizia, come in altri contesti sociali, è diventata un gioco delle parti. Del mercato si è accettata una crescente disinvoltura nel precario rispetto dei contratti, quasi fossero un’appendice burocratica senza sostanza affidata alla leggerezza dei protagonisti del campo piuttosto che alla correttezza e alla saggezza dei loro gestori. Serve, a questo punto, non tanto l’ennesima riforma quanto il ripristino di quella norma di base predicata pomposamente da Fifa e Uefa: respect.

L’etica specifica del rispetto è di fondamentale importanza per le diverse culture. Il rispetto per la tradizione e l’autorità legittima è identificato da Jonathan Haidt, professore presso la New York University Stern School of Business, come uno dei cinque valori morali fondamentali condivisi in misura maggiore o minore da diverse società e individui. Il rispetto può essere dato e/o ricevuto.


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