Boateng sostiene Maignan: "Forza Mike, so come ti senti"

L’ex centrocampista del Milan e la sua lotta contro il razzismo: "Stessa scena con me nel 2013, da allora niente è cambiato"

Undici anni dopo, la stessa scena. Mike Maignan dopo aver ricevuto insulti razzisti ha interrotto la partita tra Milan e Udinese, proprio come successe nel 2013 a Kevin-Prince Boateng, ex centrocampista del Milan, durante un’amichevole a Busto Arsizio contro la Pro Patria.

Prince, cosa è cambiato rispetto ad allora?
«Se Mike Maignan, nel 2024, si trova a dover abbandonare il campo, vuol dire che non è cambiato proprio niente. È una vergogna. Io capisco cos’ha provato. Adesso sto collaborando con la Fifa per il problema del razzismo e per la salute mentale dei giocatori. L’obiettivo è buttare fuori il razzismo dagli stadi. Non se ne può più».

Sarebbe importante che più giocatori trovino il coraggio di fare gesti come quello di Maignan?
«Il problema è che parlano sempre e solo i giocatori di colore. Abbiamo bisogno di tutti. Perché se si parla della guerra siamo in prima linea tutti, e anche sul razzismo c’è necessità che ci mettano la faccia tutti».

Hai sentito Maignan? Gli vuoi mandare un messaggio?
«Gli ho scritto due volte: una per dirgli che è fenomenale, e una adesso dopo questo episodio. Ma non mi risponde mai… Sono passato di moda (ride, ndr). Se lui vuole, io sono a sua disposizione per aiutarlo, perché so benissimo in quale situazione sia».

Vorresti incontrarlo a Milanello?
«Ma certo, so che ha bisogno di una mano. Non sappiamo se stia bene, bisogna stargli vicino».


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E pensare che qualcuno aveva accusato Maignan di aver esagerato…
«Sappiamo come funziona. Maignan è una vittima. Non è bello vedere una squadra andare via dal campo. Mike ha fatto benissimo. Io penso che, con quelle urla, abbiano voluto distrarlo e fargli male al cuore».

Il daspo a vita al tifoso dell’Udinese può essere un punto di non ritorno?
«Sì perché hanno agito senza aspettare nessuno, la decisione dell’Udinese è molto importante. Se succede di nuovo con un’altra squadra, quel club non può sottrarsi dal prendere lo stesso provvedimento».

Il 3-0 immediato potrebbe essere la mossa per debellare il problema?
«Se ci fosse questa regola, non lo farebbe più nessuno, perché andresti a far perdere la tua squadra del cuore. Un turno a porte chiuse non serve a molto. Servono riscontri oggettivi, con telecamere e microfoni che vanno a prendere subito chi fa queste cose e lasciarlo fuori dagli stadi per sempre. Servono sanzioni forti, altrimenti le cose non cambiano».

Maignan avrebbe fatto meglio a non rientrare in campo?
«Capisco Maignan, perché ama giocare a calcio ed è per quello che non è rimasto negli spogliatoi. Probabilmente, se si fosse trattato di uno sport singolo non sarebbe rientrato, ma dietro di lui ha una squadra e capisco il fatto che sia tornato in campo».

Il tuo amico Ibra in quei momenti ha aiutato Maignan a tenere la calma…
«Zlatan ha passato tanti momenti del genere, ricevendo insulti dai tifosi avversari che volevano disturbarlo. È molto forte e ha messo la sua esperienza al servizio di Maignan. Ha una mentalità incredibile e avere una persona del genere al tuo fianco ti aiuta tantissimo, perché sai che ti puoi appoggiare a lui».


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È stato un ritorno importante il suo…
«È un fattore determinante. Penso che sia la figura più importante dentro il club, perché riesce ad essere un bel collante tra squadra, allenatore e società».

Com’è questo ruolo alla Fifa?
«Sono un consulente di Infantino, sono molto vicino a Rio Ferdinand, parliamo con Vinicius Junior, parleremo con Thiago Silva, con Rakitic, stiamo contattando diversi giocatori, attuali ed ex, per coinvolgere persone che ci mettono la faccia».

Cosa determina le sofferenze psicologica dei giocatori?
«Oggi più di prima a causa dei social c’è ancora più pressione. I social sono un’arma di distruzione che può annientare una persona mentalmente. Può provocarti pressione, attacchi di panico e ansie. Non conosco un giocatore che non abbia problemi mentali».

È successo anche a te?
«Sì, pure io ho avuto la depressione per un mese, ero vuoto. Facevo l’uomo forte in campo poi tornavo a casa piangendo. La gente pensa che guadagnare dieci milioni l’anno significa essere felici, invece quei dieci milioni sono la causa dei problemi. Oggi sono una persona diversa grazie alla religione e a Gesù».

Al Milan è arrivato Loftus-Cheek, ti rivedi in lui?
«È molto forte, aveva già fatto ottime cose al Chelsea. L’Italia è perfetta per Ruben, in Serie A manca un giocatore con le sue qualità. Ricorda un po’ me, ma anche Nainggolan. È un giocatore box to box, può fare gol e assist, ed è un guerriero. Ci sta bene dentro a questo Milan. Però come Prince Boateng ce n’è solo uno».


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Undici anni dopo, la stessa scena. Mike Maignan dopo aver ricevuto insulti razzisti ha interrotto la partita tra Milan e Udinese, proprio come successe nel 2013 a Kevin-Prince Boateng, ex centrocampista del Milan, durante un’amichevole a Busto Arsizio contro la Pro Patria.

Prince, cosa è cambiato rispetto ad allora?
«Se Mike Maignan, nel 2024, si trova a dover abbandonare il campo, vuol dire che non è cambiato proprio niente. È una vergogna. Io capisco cos’ha provato. Adesso sto collaborando con la Fifa per il problema del razzismo e per la salute mentale dei giocatori. L’obiettivo è buttare fuori il razzismo dagli stadi. Non se ne può più».

Sarebbe importante che più giocatori trovino il coraggio di fare gesti come quello di Maignan?
«Il problema è che parlano sempre e solo i giocatori di colore. Abbiamo bisogno di tutti. Perché se si parla della guerra siamo in prima linea tutti, e anche sul razzismo c’è necessità che ci mettano la faccia tutti».

Hai sentito Maignan? Gli vuoi mandare un messaggio?
«Gli ho scritto due volte: una per dirgli che è fenomenale, e una adesso dopo questo episodio. Ma non mi risponde mai… Sono passato di moda (ride, ndr). Se lui vuole, io sono a sua disposizione per aiutarlo, perché so benissimo in quale situazione sia».

Vorresti incontrarlo a Milanello?
«Ma certo, so che ha bisogno di una mano. Non sappiamo se stia bene, bisogna stargli vicino».


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