Napoli, il segreto di De Laurentiis

In 11 anni dalla C al primo posto, dalla scelta degli allenatori agli acquisti, così ha guidato una rinascita sportiva e finanziaria
Antonio Giordano
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NAPOLI - C’era una volta: le favole (a volte) cominciano negl’inferi e tra le fiamme d’una estate rovinosa, mentre intorno c’è il dolore (persino) fisico d’una città demolita dentro, nasce l’autentico miracolo italiano che Aurelio De Laurentiis costruisce a modo suo, prendendo il calcio e rivoltandolo per davvero, rimescolandone i concetti, riscrivendone - e cancellando - certi luoghi comuni, rielaborandone le strategie aziendali. L’Araba fenice che rinasce dal sepolcro della Fallimentare è questo Napoli che ha scelto di rovesciare le gerarchie, di ribaltare il Sistema, di dare un senso alle idee e di plasmare un progetto ad immagine e somiglianza d’un «visionario» (ipse dixit) dalle intuizioni folgoranti, il manager moderno (e d’acciaio) che sa resistere ai movimenti di massa, alle contestazioni feroci, agli insulti persino sistematici, all’ironia (talvolta) anche greve.

LA SCALATA - La capolista è un modello di gestione pressoché perfetto, un esemplare quasi unico e comunque raro d’azienda «gioiello» che unisce l’utile (di un bilancio sano) al dilettevole (d’un calcio ormai esagerato): i conti tornano, ovunque, e il futuro è una garanzia blindata in quella filosofia che ha sempre rifiutato di lasciarsi guidare dalla «pancia» ed ha preferito d’investire con la logica. Undici anni per scoprire che il Mondo è cambiato, che Napoli è uscito dal suo Medio Evo calcistico, che ha superato la bufera di quel 2004 terrificante, che ora è - seriamente, con continuità - nell’elite di un Universo meraviglioso e dall’orizzonte in verdebiancoerosso; poi il destino sceglierà da sé, ma nulla è (ri) nato per caso e la gradualità e l’istinto e le intuizioni hanno riprodotto un club che può scrutare in lontananza.

I COLPI - Il modernismo napoletano è disegnato dalla parabola, dalla capacità di scrutare nelle viscere del pallone, di scovare Lavezzi e Hamsik in anticipo, di procedere con gli step passando da Quagliarella a Cavani in un solo anno e poi dal Matador a Higuain in meno di un mese, di saper manipolare i soldi evitando di bruciarli, anzi capitalizzando. Ma è la visione organica del calcio che ha sostenuto (dolcemente) la fase di decollo ed ha poi provveduto a vivere ad altissima quota: è la forza di spingersi ad osare, dopo gli addii di Reja e di Mazzarri, ognuno funzionale alla propria epoca, e dare ampiezza al proprio respiro internazionale dotandosi della cultura di Rafa Benitez, alle sue conoscenze internazionali, alla sua capacità di elevare il football su contenuti tecnici «differenti» e comunque utili per favorire la fusione stimolata da De Laurentiis, attraverso l’ispirazione di provare l’ennesima scelta alternativa in Sarri e nella sua vocazione estetica.

LE MANOVRE - Gli undici anni che (vada come vada) stanno riscrivendo la storia hanno passaggi che scandiscono la diversità nel confrontarsi con il calcio d’un club che ha saputo ammettere un errore andando a riprendersi Reina, che al mercato ha rinunciato a far cassa ed ha ignorato le offerte dei big, che ha «sorretto» le difficoltà iniziali di Sarri e l’ha avvolto in quella coperta di linus con la quale adesso si scalda ed osserva da lontano, dall’alto, quel sottoscala dell’agosto del 2004. C’erano cartastraccia e polvere, la memoria del passato e il nulla intorno. C’era una svolta...

 


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