IL RE - Il reietto in realtà a modo suo è un piccolo re e vi parrà materia discutibile - come ogni dato statistico - però è tutto scritto in questo tempo che gli è appartenuto e ripetutamente, per adesso già otto volte in questi seicentotrenta minuti che rappresentano un vuoto da colmare a modo suo, a suon di Milik, che sa come si fa: di testa e di destro e di sinistro e con eleganza e con palla in movimento e con una punizione che disegna una parabola favolistica, e pure questa è la sua. Milik è un rivoluzionario, e forse neppure lui ne è consapevole, che s’è preso il proprio destino e l’ha rivoltato a spallate, uscendo per due volte dalla sala operatoria, rimettendoci un paio di stagioni, mai le certezze in se stesso: e a Cagliari, quando con gli sguardi smarriti e increduli e diffidenti, Napoli s’è messo prima a scrutare l’ipotetico orafo a cui consegnare quella palla carica di fascino e poi s’è accorta che pure questo è nelle corde di un uomo destinato a rimanere semplicemente «un bisonte» o «un ariete», uno di quegli attaccanti un po’ antichi e comunque sempre moderni da cercare con i traversoni, un amabile «impostore» dei sedici metri.