Napoli, il salto dell'ostacolo© Getty Images

Napoli, il salto dell'ostacolo

Alessandro Barbano
4 min

Stasera il Napoli salta sull’ostacolo del vorrei ma non posso. Perché la sfida al Barcellona è la sfida all’incompiutezza, che fin qui ha negato a una bellissima squadra di essere anche una squadra vincente. Il sortilegio accompagna l’intera avventura azzurra nella stagione De Laurentiis e, più specificamente, il ciclo che inizia con Benitez, cresce con Sarri, galleggia con Ancelotti, sbanda con Gattuso e riparte con Spalletti. Al netto di pedine, anche preziose, che cambiano, c’è una continuità che racconta un decennio di eccellenza tecnica, intermittenza agonistica, immaturità caratteriale.

Saltare sull’ostacolo del Barça non vuol dire solo aprirsi la strada verso il trofeo dell’Europa League. Ma soprattutto scacciare l’immagine del capolavoro artistico lasciato a metà, di cui s’intravedono allo stesso tempo tutte le mirabili potenzialità e tutti gli inguardabili vuoti. Questo è stato finora il Napoli. Un’opera d’arte a cui sono mancati gli ultimi decisivi tocchi di pennello. A una preziosa rifinitura si è dedicato Spalletti fin dal suo arrivo. Ha rifondato lo spogliatoio, dopo due anni tumultuosi, ha motivato i delusi precoci, come rischiava di diventare Elmas, ha dato inquadramento tattico ai fuori posizione, trasformando Lobotka in un regista straordinario, ha orientato all’obiettivo e al dominio delle emozioni gli ardimentosi, come Osimhen.  

Gli manca l’ultimo miglio: far comprendere agli azzurri che un turno di Coppa dura almeno centottanta minuti, e non novanta. E che non conterà, stasera, giocare al Maradona, poiché di fronte all’intensità del conflitto il pubblico e i suoi cori saranno per i blasonati avversari poco più che un’espressione geografica. Quella della squadretta, a cui si sarebbe ridotta la formazione blaugrana dopo la partenza di Messi, è una pericolosa bugia. Perché ignora che sette giorni fa Ferran Torres ha fallito tre occasioni da favola. Nelle mani dell’espertissimo Xavi c’è un germoglio di talenti pronti a sbocciare, e in parte già sbocciati, che nel giro di pochi mesi possono rifare la leggenda. 

Battere il Barcellona vorrebbe dire per la prima volta sentire tutta intera la responsabilità del proprio valore. È singolare che quest’occasione stia nelle mani di due diversi protagonisti della partita, giunti allo stesso appuntamento con la propria storia personale: Insigne e Spalletti. Il capitano sa che, trascinando il Napoli agli ottavi, può dare un senso nuovo e compiuto ai dieci anni in azzurro che per lui stanno per chiudersi. L’allenatore sa che il cammino verso la finale può aggiungere al suo primato intellettuale la validazione dell’esperienza. Non basta essere il più originale e il più intuitivo tecnico della serie A, se non ti riesce di mettere queste belle qualità nella convessità di una Coppa europea. I destini individuali dei due s’incrociano stasera con quello del Napoli, in una consonanza perfetta. Insieme staranno o insieme cadranno, avrebbero detto i Romani, che di battaglie s’intendevano. Perché sarà una battaglia, prepariamoci.


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