Insigne, lacrime napoletane: il racconto dell'ultima al Maradona

Cinquantamila spettatori per l’ultima gara azzurra di Lorenzo a Napoli: cerimonia di premiazione e tanta commozione con l’attaccante di Frattamaggiore emozionatissimo
Insigne, lacrime napoletane: il racconto dell'ultima al Maradona© FOTO MOSCA
Antonio Giordano
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NAPOLI - Dipende cosa ci sta dentro una vita, se gli anni o più emotivamente il tempo vissuto: e proprio in quell’istante che pare un battito di ciglia, Lorenzo Insigne se ne sta da solo con i suoi 30.355 minuti da principe azzurro. «Ricordo tutto di questo decennio». E ci sarà pure modo di ritrovarsi, stordito nella esuberante propria fantasia d’un bambino, nella culla o per i vicoli di Frattamaggiore, in quel frammento di una esistenza sognata con gli occhi sognanti. Alle 17.12, quando ormai è finita e la sua lettera aperta è rimasta in un anfratto della memoria, a specchiarsi nel nobile «dolore» di Maurizio De Giovanni che gli ha dedicato una poesia, ciò che resta di Insigne è un album gigantesco nel quale si sfogliano 122 gol, 95 assist e la storia di un amore rimasto a volte soffocato, persino strapazzato ma poi esploso prepotentemente sul finale d’una storia che gli appartiene tutta. «Ma io tornerò, un giorno, per guardare la partita dalle curve. Purtroppo, ci sono delle scelte da fare e io e la società abbiamo deciso così e siamo contenti. Ho dato tutto quello che avevo, in ogni partita che ho giocato, e adesso vorrei abbracciare uno per uno i tifosi, che mi hanno regalato sensazioni magnifiche. Ma devo un grazie a tutti i miei allenatori avuti qua e ai compagni - ora penso a Hamsik, a Callejon, a Reina, ad Albiol - che hanno speso belle parole per me». Ora ch’è inutile guardarsi alle spalle, ritrovare quei frammenti d’incomprensione che persino Insigne e De Laurentiis hanno sepolto per una passeggiata mano nella mano, di quest’epoca abbellita da «tiraggiro» e capolavori d’arte pura riemerge il senso pieno del calcio, quel talento che ha dovuto caricarsi sulla propria «24» le responsabilità a volte esagerate per uno scugnizzo privo di malizia.  

Due lustri

È una giornata che rimarrà per lui, per i cinquantamila, per sua moglie Jenny che in tribuna non ha fazzoletti per placare quella crisi di pianto, per i suoi bambini - Carmine e Christian - per il suo papà, per la mamma e per una famiglia che è diventata, quando è servito, il bunker affettivo nel quale riparare: ma adesso, nella «ola» d’uno stadio immalinconito, in quella emozione composta che riempie i cori e scaccia via il tormento, c’è da perdersi nel caveau dei ricordi. Si potrebbe ripartire da Livorno, 24 gennaio 2010, un paio di giri di lancette che neppure fanno statistica per annusare la serie A, prima di andarsene a Cava de’ Tirreni, ad avviare il proprio tour dell’anima che l’avrebbe portato tra Foggia e Pescara direttamente dal proprio riconosciuto maestro - Zeman - e poi gli avrebbe riconsegnato le chiavi d’uno stadio che sarebbe diventato suo, dal 2012 a questo 15 maggio 2022 in cui s’ode il rintocco del cuore che batte. Si chiamava San Paolo, quel luna park nel quale, da fanciullo, s’era catapultato con tutta la sua natura un po’ ribelle ed è lì che sfidando i luoghi comuni, le parabole abbaglianti hanno cominciato a disegnare arcobaleni. Ci sarebbe da sistemare così, casualmente, il suo curriculum vitae, oppure infilare le perle con il Borussia Dortmund, quella di Madrid, le «marachelle» con Psg e Liverpool o i rigori al Barça in un filo azzurro che riconduca esclusivamente a lui, ignorando o dimenticando le amarezza con l’Athletic Bilbao o di Reggio Emilia, quell’eco fastidioso di fischi ingenerosi. Insigne ha provato - lui con il Napoli - a rivoluzionare il potere, c’è andato vicinissimo nel 2016 e nel 2018 e pure in questa stagione finita tra i rimpianti, poi c’è riuscito - e chi l’avrebbe detto - con l’Italia di Mancini, trascinata anche dalla sua esemplare generosità a vincere l’Europeo. Ma Napoli gli è appartenuta, per davvero, è stata madre e matrigna, l’ha adorato e rimproverato, non l’ha fatto mai sentire periferico. «Napoli mi ha dato tutto. Sono nato e maturato qua; abbiamo gioito, sofferto e litigato, come in una famiglia. Stare in questa città ha rappresentato una meravigliosa esperienza ed una responsabilità che ho accettato con onore e con fierezza. Lasciare Napoli significa lasciare casa con la consapevolezza che mi mancherà sempre». Che nelle pareti dell’anima, senza che ci siano ormai più crepe, s’avvertirà sempre - come quando dondolava nella culla - il piacere della favola vissuta davvero. 


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