L’appuntamento è una videochiamata su Zoom dopo la finale mondiale: «Una delle più belle della storia, credo. Quante emozioni. quanti colpi di scena». Paulo Fonseca è nella sua casa di Lilla, dove sta preparando l’amichevole contro il Napoli. Il figlio piccolo, Martin, sguscia da tutte le parti reclamandone l’attenzione. È più difficile tenere a bada lui di Kvara, probabilmente. Fonseca ride, però al test di stasera tiene molto. Tornare in uno stadio italiano dopo l’esperienza alla Roma è un’occasione stuzzicante: «Il Napoli sta andando fortissimo. Sia in Serie A che in Champions. È la dimostrazione di una strategia intelligente. Si può vendere giocatori importanti e migliorare. Non sempre i club lo capiscono». AAAIl Napoli vincerà lo scudetto? «Per quanto si è visto finora, mi pare una seria candidata».
C’è qualcosa del suo Lille, nella loro programmazione: demolire e ripartire.
«Sì. Ho accettato questa proposta perché mi hanno affidato un progetto di valorizzazione nel quale posso proporre la mia idea di calcio. È un anno zero, vediamo dove possiamo arrivare».
È abituato agli anni zero. Anche alla Roma arrivò con un progetto nuovo. (ride) «Evidentemente va bene così». AAAAIl Lilla è a due punti dalla zona Europa.
«Proveremo a raggiungere le prime posizioni ma senza essere ossessionati dalla classifica. A parte il Psg, nella Ligue 1 ci sono sette-otto squadre che possono giocarsi gli altri posti».
Certo, quell’1-7 con il Paris pesa.
«Non è stato bello, no. Ma sai che ti dico? È stato un momento importante nel nostro percorso di crescita. E mi è piaciuto l’atteggiamento coraggioso della squadra».
In Italia sarebbe stato incenerito.
«Forse. Ma contro Messi e Mbappé, che avete visto nella finale di Doha, è difficile per tutti ottenere soddisfazioni. Per me sarebbe stato peggio uscire battuti perdendo anche l’identità».
A proposito di Mondiale, che idea si è fatto?
«Non ho potuto guardare tutte le partite, come avrei desiderato, però ho visto un grande equilibrio. E l’Argentina a conti fatti ha meritato di vincerlo».
C’erano due giocatori del Lilla: Weah junior negli Usa e David nel Canada, entrambi classe 2000.
«Due giovani forti e molto professionali. Weah, nonostante le attenzioni che richiama un figlio d’arte, ha un’umiltà pazzesca. Ed è duttile. Con me gioca anche terzino. Suo padre è venuto a trovarlo nell’ultima partita prima della sosta. Per fortuna abbiamo fatto bella figura...».
Mi parli del Portogallo.
«Speravo andasse più avanti. Ma è stato anche bravo il Marocco».
Il Marocco di Ounahi, che gioca in Francia con l’Angers ultimo in classifica.
«Ho provato a portarlo a Lille in estate, ma non ce l’hanno dato. È un campione. Ora penso che andrà in un top club».
Torniamo ai suoi amici portoghesi. Il caso Ronaldo ha penalizzato la squadra?
«Difficile giudicare da fuori. Cristiano veniva da un’estate senza preparazione, non era nelle migliori condizioni. Non era facile per Fernando Santos decidere come utilizzarlo».
Fonseca come si sarebbe comportato?
«Non lo so. Ma tendo a supportare le idee degli altri allenatori, soprattutto se guidano il Portogallo. Leao, il miglior giocatore della Serie A, stava in panchina: c’erano tanti giocatori forti nel gruppo. Era un problema di difficile gestione, davvero».
Mourinho sarà il vostro ct?
«Leggo che è una possibilità. Ma non ho informazioni dirette, non sento Mourinho dai giorni in cui ha firmato per la Roma».
E a proposito. Come mai anche Mourinho fatica a far decollare la Roma?
«Perché in Italia è dura. C’è molta concorrenza per l’alta classifica».
Questa Roma è più forte della sua?
«Non posso dire il contrario. Mi sembra evidente. Basta guardare gli investimenti che i Friedkin hanno stanziato sul mercato».
Dei suoi due anni a Trigoria quale bilancio ha fatto?
«Primo anno positivo. Chiudemmo quinti a 70 punti, che nella stagione precedente sarebbero bastati per la Champions. Valorizzammo tanti calciatori. Nel secondo anno, complicato anche per i problemi interni, siamo andati bene fino a febbraio e poi abbiamo pagato gli infortuni».
Tra i problemi interni, oltre al cambio di direttore sportivo, ci fu il caso Dzeko.
«Non ne voglio parlare, è tutto superato. Infatti è tornato a giocare e segnare anche con me. Gli auguro il meglio. Dico solo che Dzeko per la mia Roma era come Ronaldo oggi per il Portogallo, non era un campione semplice da gestire».
Non c’è un errore che si rimprovera nel suo periodo alla Roma?
«Il cambio di modulo. Tornassi indietro non giocherei con la difesa a tre e infatti qui a Lilla non lo faccio. La migliore Roma di Fonseca, propositiva e brillante, giocava con il 4-2-3-1».
Un’ultima curiosità sulla Roma: a Manchester, nella semifinale di Europa League, andate all’intervallo avanti 2-1. La partita finisce 6-2 per lo United. Perché giocare in modo così spregiudicato da prendere subito gol in contropiede?
«Come dicevo, non avevo più cambi perché ne avevo dovuti fare tre nel primo tempo. Purtroppo la squadra perse sicurezza dopo il 2-2, che non dovevamo concedere a campo aperto, e finì male».
Vogliamo parlare anche della sua Ucraina? Lei è riuscito a mettersi in salvo dopo un’odissea nei primi giorni.
«È dura. Come sapete mia moglie è di Kiev, abbiamo tanti familiari e amici che sono ancora là. Io poi ho lo Shakhtar nel cuore. Questo periodo è ancora più difficile per la popolazione perché sta arrivando il freddo, c’è gente senza elettricità e acqua, ogni giorno muoiono bambini. Il mondo deve fare qualcosa in più».
Ad esempio cosa?
«Fermare questo dittatore, questi criminali. L’Ucraina sta lottando per se stessa ma anche per la libertà dell’Europa. Capisco il rischio di guerra mondiale ma se abbandoniamo questo popolo, la Russia potrebbe aggredirne un altro. E sarebbe molto peggio».