Guardi la mestizia di Spalletti di fronte alla goleada azzurra - non un urlo di esaltazione o di gioia -, e ti chiedi se sia la dissimulazione o piuttosto la follia, o semplicemente la scaramanzia, o ancora la frustrazione covata da anni e anni, a raccontare il trionfo con l’impassibilità, l’estasi con la gravità, il delirio con il silenzio. Il Napoli è lassù in cima e lui tace assorto in una gelosia dell’orgoglio che nasconde al mondo tutte le emozioni provate. Perché questo primato è indubitatamente suo. Suo prima di ogni altro. Non basta avere due fuoriclasse che fanno all’amore con il gol come una coppia di amanti felici, in una corrispondenza passionale e insieme generosa di assoli e assist. Non basta avere un centrocampo che interpreta con un rigore esemplare il palleggio e l’interdizione. Non basta avere una difesa sincronizzata all’unisono, dove solo un rimpallo può tradirti ed esporti alla classe di un campione del mondo come Di Maria. Non basta avere un portiere ispirato come Meret, capace di sventare l’autogol di Rrahmani che pure avrebbe potuto riaprire la gara. Non bastano tutti questi ingredienti per fare, di una squadra, una squadra stellare, compenetrata nel pressing asfissiante dell’avversario come una sola onda magnetica che attraversi il campo per ogni dove e copra d’istinto ogni vuoto che percepisce con un radar dell’anima. Il pressing è la leva e il simbolo di una superiorità di gambe e di testa, di un raziocinio della tattica e di un’egemonia della volontà, cioè dell’intelligenza e del carattere. Questo è l’esito alchemico di una squadra ineguagliabile, che ha ritrovato dopo la lunga sosta del Mondiale la condizione che fa la differenza.
Spalletti non sbaglierà più nulla
Gli occhi interrogativi del tecnico alla telecamera, che si congeda sul trionfo degli azzurri, non sono una menzogna dello spirito, ma il coacervo di esperienze, delusioni, attese, voglie di riscatto tanto lungamente fermentate nella coscienza da diventare un’indicibile miscela di dominio emozionale. Il massimo di follia del tecnico toscano coincide finalmente con il suo più geniale approdo a una strategia perfetta, in cui la coscienza di quanto complesso sia l’equilibrio della vittoria permanente induce il suo attore ad astrarsi, quasi a scomparire dal quadro di folla e di gioia che si compone davanti a lui, per poterle contemplare e governare meglio, fermarle nel tempo, stabilizzarle fino a giugno. Oggi sappiamo che Spalletti non sbaglierà più nulla. Se mai gli capiterà ancora di patire l’incertezza del risultato e dei rapporti di forza in campo, reagirà con la stessa scientifica esattezza con cui ha reagito dopo il due a uno bianconero e dopo il cambio tattico di Allegri con il tre-quattro-tre. Elmas al posto di Politano, che pure è stato nel primo tempo una spina nel fianco della Juve con le sue incursioni, ma che va sacrificato alla necessità di coprirsi dalla crescente spinta di Kostic sull’unica fascia in cui la Juve può ancora fare male.
Nessuno è più votato di Spalletti alla vittoria
Una grande squadra non reagisce all’allarme entrando nel panico, ma rettificando uno dei suoi tanti meccanismi con una logica, per così dire, riformista. Perché in un equilibrio tattico grandi cambiamenti di efficienza conseguono a piccoli cambiamenti dei meccanismi regolatori. L’assenza di Politano sarà compensata da qualche verticalizzazione della difesa, ma il macedone alzerà il muro della sua interdizione alle residue ambizioni di Allegri. Spalletti non ha sbagliato, Spalletti non sbaglierà più. Perché nessuno è più votato di lui alla vittoria, nessuno ne ha pregustato più a lungo il profumo, nessuno ne ha sofferto più di lui la mancanza, nessuno ne ha studiato con più perseveranza la formula. L’acme degli azzurri è già un’egemonia di cui si parla in Italia e in Europa.