Napoli, scala reale: le sette mosse chiave

Il ko dell’Inter a Bologna consolida il vantaggio della squadra di Spalletti che fa il vuoto alle proprie spalle: +18
Antonio Giordano
6 min

Come Capuano con Fabietto in «È stata la mano di Diego», Luciano Spalletti disse tra sé e sé, allo specchio: «Ma è mai possibile che questa città non ti fa venire mai qualcosa da raccontare. Insomma, ce l’hai qualcosa da dire». E senza disunirsi, perché diamine non si poteva, uscendo dal proprio faccia a faccia con se stesso, quell’uomo con il quale gli dèi del calcio stanno saldando un debito, Spalletti ha modellato un’opera d’arte che sta tratteggiando la Storia del football moderno: i diciotto punti di vantaggio sulla seconda (il precedente record era il +14 dell’Inter proprio sulla Roma di Luciano nel 2006-07) sanno d’incantevole prodigio di un allenatore che ha risistemato i conti con il passato, perché quel Napoli che De Laurentiis e Giuntoli hanno rielaborato nelle forme e nei contenuti gli appartiene stilisticamente per intero, è la rappresentazione di una genialità già assaporata nel tempo e però soffocata dal caso, dalla sorte o dalle fatalità. La mano di Lucio s’è allungata sicura sul Napoli a immagine e somiglianza di una filosofia solida, anticonformista, persino visionaria e mentre si scorge all’orizzonte una città in festa, Spalletti continua a parlare con se stesso: «Non ti disunire». Ma forse adesso un po’ si potrebbe.

1) Rivoluzione parte prima

Quando tutto cominciò, il 30 giugno del 2021, Luciano Spalletti prese il Napoli, se lo sistemò sulle proprie spalle e cominciò a girovagare per quei sentieri illuminati in cui la sua cultura calcistica lo conduceva. Per uscire dagli equivoci, per liberare l’aria da quei veleni che s’avvertivano dopo che il Napoli aveva perso per il secondo anno consecutivo l’accesso alla Champions e pure quel fiume di danaro che ne deriva, gli sarebbe servito non il coraggio ma il proprio patrimonio, e a De Laurentiis, che gli aveva detto ciò che avrebbe poi ripetuto in pubblico, offrì la serenità perduta. Il Napoli di Adl, in quel biennio precedente, s’era impegnato economicamente per centinaia di milioni sul mercato e, andando oltre se stesso, aveva riempito il monte ingaggi d’illusioni divenute poi paura: «Nessuno è incedibile dinnanzi a proposte appropriate. Magari ne arrivassero». La squadra finita al settimo posto rinasce subito, infila otto vittorie consecutive, resta sulla soglia della lotta scudetto sino ad aprile, si sgonfi a al «Maradona», con Fiorentina e Roma, si sgretola a Empoli, ma è terza, è in Champions, riconquista una propria autonomia economica e può ricominciare a progettare.

2) Rivoluzione parte seconda

Cristiano Giuntoli, il direttore sportivo, ha già pianificato la vera rivoluzione, con De Laurentiis lascia che Insigne, Mertens e Ospina si liberino a parametro zero, costruisce attraverso le cessioni di Koulibaly e Fabian Ruiz il tesoretto per gli investimenti, avvia con Spalletti la ricostruzione, scova Kvratskhelia in Georgia, Olivera in Spagna, crede in Simeone e Ostigard per allungare la panchina, «rischia» con Kim e lascia che al resto provveda il suo allenatore, senza indugi proiettato (esclusivamente) sul tridente, padrone della sensibilità tecnica di una squadra che gli assomiglia per intero e che se ne va alla sosta, prima del Mondiale, in vantaggio di otto punti sulla seconda. È un Napoli mai banale, vince in casa della Lazio, della Roma, del Milan e dell’Atalanta, è imbattuto, ha lasciato due pareggi (a Fiorentina e Lecce) e anche in Champions ha dominato, cinque successi su sei. Ma prima o poi crollerà, così si dice... Diciotto punti adesso, con i quarti di Champions opzionati...

3) Scugnizzi georgiani

Insigne ha rappresentato - con Mertens - il tormentone di un anno intero, con quel contratto in scadenza che non ha mai avuto seriamente la possibilità di essere rinnovato. Spalletti gestisce il capitano e il re dei bomber di tutti i tempi con saggezza, non nega niente, antepone (ovviamente) sempre gli interessi della squadra e del club a quelli dell’opportunismo e quando non c’è più un domani sa già come ovviare, perché Kvara gli piaceva, lo aveva studiato dopo che Giuntoli glielo aveva «presentato». Il Napoli di Spalletti allarga il campo, ha un calcio che sa del proprio allenatore, insegue lo spazio dopo averlo creato, e non soffoca il talento, semmai l’esalta.

4) Capitan Normale

Per addolcire l’atmosfera, c’è bisogno di offrire riferimenti certi, autorevoli, equilibrati: un capitano è modello in cui specchiarsi, capace di governare gli umori e di rappresentarli con garbo. Di Lorenzo non è un basso profilo, semmai l’esatto contrario, perché per essere leader non è necessario urlare, e poi sulla fascia non si sta defilati, semmai si domina meglio ogni diagonale.

5) Occhio al Lobo

Stanislav Lobotka era diventato la parodia di un mondo, soprattutto quello dei social, e aveva scoperto d’essere ai margini del Napoli: una ventina di milioni buttati via, in un anno e mezzo orribile, poltrendo tra panchina e tribune, semmai chiedendosi perché. Spalletti lo avrebbe voluto all’Inter e quando è arrivato a Castel Volturno ha rimesso lo slovacco al centro del proprio villaggio: dategli il pallone, al resto ci penserà lui, che saprà modellare l’idea con la personalità spiccata di chi conosce il calcio da dentro la cabina di regia.

6) Osi(amo)

Fino a quando la sorte gli ha sottratto mesi e partite, Osimhen è stato costretto a restare una splendida intenzione: ma s’era intuito che in quell’uomo si nascondeva un potenziale fenomeno, nonostante piccoli difetti visibili a occhio nudo. Spalletti ha migliorato Osimhen, lo ha ripulito nella tecnica, lo ha evoluto nei movimenti, gli ha tracciato più rotte - non solo l’allungo secco a campo aperto - l’ha inserito dentro codici nuovi, l’ha integrato nel gioco, gli ha eliminato le impurità, ha lasciato che la stella brillasse.

7) Italia, Europa

Ci sono equilibri che s’avvertono al di là delle statistiche, capaci però di testimoniare che si possono fondere il miglior attacco con la miglior difesa. Spalletti ha dominato il campionato italiano, affrontandolo a viso aperto, e in Champions ha off erto quel suo stesso respiro però con matrice internazionale. Il Napoli è un capolavoro senza confini.


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