De Laurentiis, hai vinto tu ma sulla pizza lascia stare

L’evoluzione nell’immaginario di un presidente cinico e poeta
De Laurentiis, hai vinto tu ma sulla pizza lascia stare© LaPresse
Mimmo Carratelli
6 min

Alla fine della giostra, questo scudetto annunciato e smargiasso, nato in anticipo, questo scudetto settimino sarà in tutto e per tutto lo scudetto di caccia ’e sorde, pappone, vattènn’a lloco, vattènne a Bari, fatti ’nu fi lm, il tuo progetto è un vero fallimento prenderti a calci è il nostro intento, lo scudetto di Aurelio De Laurentiis vituperato e vituperante, un cazzo avete vinto e sempre questa storia di Maradona (dice lui), questa città vive solo di passione non merita un presidente buffone (dicono loro), lo scudetto degli invincibili allisciato da Spalletti alla fine sarà proprio uno scudetto aureliano, in tutto e per tutto lo scudetto di Aurelio De Laurentiis, della sua antipatica padronanza, della insopportabile superiorità e della immanente barba bianca, alla fine, prendi Cavani, vendi Cavani, prendi Higuain, vendi Higuian, Aurelio De Laurentiis vince e stravince su tutta la linea, il bilancio in ordine, nessun debito, pagamenti precisi, i conti tornano e torna lo scudetto nella diciannovesima era aureliana, la trentatreesima d.M., dopo Maradona, e la prima a.C., avanti Costantinopoli, Istanbul. Lo volevamo trascinare a Piazza Mercato per avere preso Donadoni e Gattuso, Britos e Hysaj, Hoffer e Navarro, Uvini e Fideleff , Michu e Bakayoko, e all’intrasatta Insigne manca, Koulibaly manca, Mertens manca, sul ponte sventola bandiera bianca, e a Dimaro nell’estate del ridimensionamento meglio che non ti fai vedere, e Aurelio non si fa vedere, buffone e prepotente Napoli è della gente, e miett’a meglia: fiutato l’affare nasce l’azienda familiare ostaggi di un pezzente non vinceremo niente, la piazza monta la forca, non voler vincere ma lucrare sulla nostra passione sei tu il malus lurido buffone. Poeti anonimi si sono dilettati nel tempo nel vergare rime baciate dall’odio su striscioni di venti metri senza mai un fremito della barba di Aurelio, senza smuoverne la capigliatura compatta, senza turbarne la persona robusta. Diciannove anni di improperi.

Aurelio emerge dall'inferno napoletano

Né santo e martire né navigatore e neppure poeta, Aurelio emerge dall’inferno napoletano come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar di venti, la bocca sollevando dal fier contrasto. Immenso Aurelio, gigante d’amianto, mitologico unicorno, nato brillante, astuto e cinico sotto il segno dei Gemelli, ascendente Hollywood, pane al pane e vino al vino, condottiero dei condottier d’Omero, una sola volta capitano di Ventura, ma da Benitez a Spalletti non sbaglia un colpo, parsifallo che recupera il Santo Graal dello scudetto, Orlando furioso, nave con nocchiere Giuntoli in gran tempesta, non cinema di provincia ma bordello, il presidente più contestato della storia del Napoli, ’a ressa ’n mane ’e creature. Aurelio che depista, e cerca Conceiçao, Emery, Mihajlovic e Allegri dal quale apprende, in tre sedute nella tana cinematografica romana, tutto lo scibile pallonaro che è nel bagaglio futbalistico di Acciughina che spiega, dispiega e dice no, e poi Capello gli suggerisce Spalletti, ma no, che cazzo dite, ma che cosa andate inventando, Spalletti l’ho cercato io, nessun suggerimento, nessun consiglio, proprio così Aurelio è andato all’Orto Botanico di Milano, quel palazzo con le ringhiere a broccoli, mentuccia e lattuga, il Bosco Verticale, e ha detto a Spalletti vieni a Napoli, e lui è venuto, un’altra intuizione, Aurelio rivendica e aggiunge sento dire solo cazzate. Aurelio non sarà mai barbapapà e non sarà mai ’nu babà, starà ritto sul carro del vincitore, il carro di sé medesimo, e il suo canto libero sarà futtìteve, tiè, ’o scudetto è mio e lo gestisco io, non lo dedico neanche a san Gennaro, basta con la napoletanità e ’o mandolino, e ’a pizza e ’o sole mio, ’a pizza è meglio a Roma e ’o sole è meglio a Los Angeles.

Imprenditore moderno di un calcio senza lamenti e sentimenti

Imprenditore moderno di un calcio senza lamenti e sentimenti, nudo e crudo, pensato e progettato, vinto al computer, anema e core roba passata di quando Lauro sfilava e Ferlaino fi lava, chi nun téne curaggio non se còcca che ’e femmene belle, quel calcio avventuroso destinato al fallimento. Aurelio e il suo canto IV: quegli è Osimhen centravanti sovrano, l’altro è Kvara satiro georgiano, Kim è il terzo, e l’ultimo è Lozano, così vidi adunar la squadra bella dei gol a catinella, Rrahmani e Mario Rui superati i secoli bui, Anguissa l’Africa che va e Lobotka che sa, Meret e Zielinski e non sono più fi schi, Di Lorenzo capitano, ed ecco il fi ero Politano, e Spalletti lo gran toscano che ha messo mano allo scudetto tricolore, sì ch’io fui primo tra cotanto senno, così n’andammo sino alla vittoria, crepi il lupo e datemene la gloria. Aurelio il Magnifi co al quale non devi chiedere mai, Aurelio che da Capri avanzando veleggia, Aurelio che a dir le sue virtù basta Dazn. Così percossa e attonita Napoli sta. Aurelio fedele al messaggio di Arrigo Sacchi: occhio, memoria, pazienza e bus de cul. Aurelio, romano di Castelvolturno. Che cosa possiamo dire? Viene in soccorso Antonello Venditti: stare insieme a te è stata una partita, va bene hai vinto tu. Bisogna inventare un grazie per Aurelio. ’Na sigaretta mmocca, ’na mano dint’a sacca, l’uocchie sott’o cappiello annascunnute, ma bisogna dirgli grazie. Con garbo, con eleganza. Grazie, Aurelio. Anche con gentile distacco: grazie, dottore Aurelio. Comandante no e nemmeno ingegnere. Tutta n’ata storia. Ma grazie Aurelio bisogna dirlo, anche se nun ce sta’ piacere nemmeno a sta’nzieme pe’na sera. Non dobbiamo fare comunella, non è il caso di bene mio core mio, questi sono tempi asciutti, di stima e di rispetto. Grazie, signor De Laurentiis, ’a maronn v’accumpagn, san Gennaro vi protegga, Giuntoli e lo Spirito Santo vi illuminino, ma lasciamm sta’a pizza romana.


© RIPRODUZIONE RISERVATA