Il sindaco di Napoli: "Vincere deve diventare la normalità"

Il primo cittadino Manfredi ha seguito da vicino l’epopea degli azzurri: "Questo scudetto lancia un segnale E ora un Maradona da 70.000 posti"
Marco Evangelisti
4 min

Gaetano Manfredi, lei è il primo sindaco di Napoli per il quale lo scudetto sappia di prospettiva: nel 1987 c’era il commissario, nel 1990 Pietro Lezzi era a fine mandato.
«Già. Io invece comincio adesso e comincio bene. Ho seguito quasi tutte le partite allo stadio. Ho visto uno scudetto costruito pazientemente attraverso il lavoro di anni e attraverso la programmazione da una società sana».

Detto da uno juventino.
«Vero. Però non sono mai stato un grande tifoso. Ora guardo con affetto alla squadra della mia città».

Città parecchio cambiata dai giorni di Maradona.
«Completamente diversa. Molto più internazionale, piena di talento come sempre, però trainata da giovani di valore che vogliono vivere la modernità. Una trasformazione positiva di cui lo scudetto vinto in questo modo è un segnale. Del resto anche De Laurentiis e Giuntoli hanno avuto l’intuizione di puntare sui giovani. E hanno vinto».

Quando esattamente Napoli si è lasciata alle spalle la sua vecchia immagine?
«È stato un percorso progressivo. E io l’ho sperimentato nelle sue fasi salienti, quando ero professore e rettore della più grande università del Mezzogiorno, la Federico II. Una città nella città. Lì è cresciuta tutta una nuova generazione che è stata all’estero, negandosi agli stereotipi: imprenditori, artisti, scienziati. Da questo patrimonio Napoli riparte. Il boom turistico di questo periodo lo dimostra».

E lo scudetto contribuisce alla trasformazione?
«Sì, perché dimostra che a Napoli si può vincere. Che ci sono le capacità, le condizioni e la programmazione. Un successo così fa propaganda non solo alla nostra città ma a tutto il Sud. E a tutta l’Italia».

La vittoria porta onori ma anche doveri. Bisognerà rimettere mano allo stadio Maradona.
«E lo faremo. A fine campionato procederemo di comune accordo con il club a valutare gli interventi necessari. Con ogni cura per un impianto che possiede un rilevante valore architettonico, ma ha ovviamente bisogno di un profondo rinnovamento per adeguarsi al calcio moderno. Ci vorrà un masterplan ad ampio raggio che analizzi le operazioni necessarie e faccia il conto degli investimenti. L’Europeo di calcio in Italia sarebbe un’occasione preziosissima. Ormai sembra chiaro che la capienza attuale non è più sufficiente».

A quanti spettatori pensate?
«Tra 60.000 e 70.000. L’ordine di grandezza dell’Olimpico o di San Siro».

Grazie al calcio, attirare investimenti privati potrebbe rivelarsi più facile.
«Certo, anche se ne abbiamo già. C’è un interesse rinnovato per la città, abbiamo trattative in corso. Naturalmente lo scudetto manda un segnale in più: Napoli è vincente, su Napoli si può scommettere».

E diventerà capitale europea dello sport?
«Abbiamo avanzato la candidatura per il 2026 perché crediamo che lo sport svolga una funzione educativa rilevante nei confronti dei giovani. Il nostro interesse va soprattutto ai ragazzi dei quartieri difficili. Al di là di questo, lavoriamo in vari settori, stiamo chiudendo accordi con la Federnuoto, con altre federazioni come atletica, tennis, ginnastica, e con il Coni. E poi spingiamo sulle strutture di base, come i playground. È un volano potente per il miglioramento della città. Il Napoli è spesso al nostro fianco in questi sforzi».

Il prossimo passo sarà vincere la Champions League?
«Il prossimo passo sarà far sì che la festa eccezionale dei prossimi giorni non sia più eccezionale. Che la competitività al massimo livello sia la regola. L’ho già detto: Napoli non è la città sofferente del dopo terremoto, ostaggio della criminalità. Siamo una cosa diversa. Ma sempre speciale».


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