Napoli, campioni d’amore: una festa che sembrava non voler finire

Uno stadio che dopo la partita si trasforma in palcoscenico e per tutto il lungo pomeriggio trabocca di musica, parole, gioia
Napoli, campioni d’amore: una festa che sembrava non voler finire© LAPRESSE
Antonio Giordano
5 min

C ’è una lunga scia azzurra che sfila lungo le strade di Napoli, che così azzurra non lo è stata mai: si confonde tra le sue acque e quel cielo che le dà una luce nuova, oppure vecchia, ma che fa! C’è quel senso di felicità collettiva, è un sentimento , mica uno stato d’animo, è un’esplosione fragorosa d’emozione che cerca una mano, uno sguardo, un abbraccio. Ci sono uomini che non hanno mai vissuto un tempo come questo e non avevano neppure potuto cavalcarlo con la fantasia, c’è stata una Napoli che ormai era fuggita via dal sogno e quando s’era ritrovata in un incubo grosso quanto una ferita alle pareti dell’anima preferì anestetizzare quell’epoca - il ’ 99 - trasformando il San Paolo in una Cattedrale deserta: chissà dove sono, cosa fanno, cosa pensano gli 89 spettatori paganti di quell’arida partita con la Cremonese, eppure potrebbero rivendicare per sacrosanto diritto il titolo di fedeli nei secoli, nella buona e nella pessima sorte...

Il secondo scudetto, in quei giorni così cupi, apparteneva ancora a chiunque ma fu un lascito che era andato ormai disperso; e ora che con questi altri cinquantamila, lacrime che s’intrecciano con lacrime dopo l’1-0 sulla Fiorentina, il Maradona ha superato il milione di paganti, è come sentirsi un po’ Marco Polo, perché pure stavolta c’è voluto un lungo viaggio. 

Diamo a Kvara la numero 10

Notte da Oscar

La Napoli moderna e pure quella antica se ne sta adesso qua, nella sua Grande Bellezza che Paolo Sorrentino rappresenta meravigliosamente vissuta sentendo il battito del pallone, isolandosi nei propri pensieri ai piedi della Curva B: è la notte dell’Oscar italiano del calcio e ci sono voluti trentatré anni per perdersi ancora e di nuovo, rivivere la gioia e pure il dolore che si sono colt i con “È stata la mano di Dio”, e che ora rimangono soffocati «preda della meraviglia. Maradona ci ha spiegato come si fa e noi lo abbiamo fatto». C’è un velo d’elettrizzante nostalgia in questo stadio che Sorrentino ha trasformato in palcoscenico - è come stare dentro a un film o in teatro - mentre sui maxischermi, in una clip evocativa, compaiono Troisi, Eduardo e Totò un attimo dopo che Edoardo Bennato, a proposito di talenti, ha indicato la strada, «seconda stella a destra, quello è il cammino». 

La sfilata

In curva B, lo scudetto capovolto, tra due frasi («Bottino di guerra» e «Campioni in Italia») rappresenta la provocazione per un disagio avvertito in giro, sui campi, e che però evapora in fretta, quando in stile hollywoodiano sfilano i protagonisti di un’annata indimenticabile, ognuno vestito con la nuova maglia personalizzata con la propria immagine riprodotta all’altezza del ventre.  

È il futuro, questo, ma è anche il momento di inchiodarsi nella storia, di assaporarla per intero, lasciando a ciascuno un grammo, un etto o una tonnellata d’applausi, in quel fascio elegante di tricolore che avvolge elettronicamente il campo. È la Napoli di tutti, stavolta anche del “Cholo”, commosso mentre incrocia il proprio sguardo con quello di suo figlio Giovanni, eroe di attimi fuggenti, colti con quella espressione da scugnizzo che gli sta bene, sembra proprio strappato a questi vicoli. Ed è la Napoli di Paolo Cannavaro, il capitano della promozione in Serie A, che ha avuto fretta di rientrare da New York, non poteva negarsi il brivido d’una serata ch’è figlia di un’epoca in cui ognuno porta qualcuno di sé. Politano si è dipinto i capelli d’azzurro, Lozano deve appoggiarsi alle stampelle, Kvara ha la bandiera della sua Georgia orgogliosamente adagiata sulle spalle e Osi, nel boato travolgente, sceglie di presentarsi alla festa in maschera. È il retaggio di momenti di disperazione, di un terrore ch’è svanito da un bel po’, figurarsi da quel corridoio nel quale Tommaso Starace spruzza la propria allegria danzando con «a far l’amore comincia tu» della Carrà; poi va a prendere De Laurentiis, simpaticamente “terrorizzato” da quella morsa: «Ahò, ti viene la uallera». E non deve essere un caso che quando entr a Spalletti il Maradona si scateni e vada oltre per l’uomo che Adl definisce il «supercazzutissimo», «la star delle star», «quello che merita il clou della serata». Quello che viene inondato dallo champagne stappato nel delirio dopo aver scandito il tempo dello scudetto: uno, due, tre.  

Chi ha detto che la felicità dura un attimo? E in quel delirio, con lo stadio illuminato a giorno dai fuochi pirotecnici, in uno scenario struggente tra tricolori che s’intrecciano e Liberato che canta mascherato come Osi c’è la certez za d’essersi lanciati in una dimensione inedita e pure estatica: «We are the Champions»


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