Inviato a Castel Volturno - Si può essere padroni del proprio destino e anche no, ma come si governa il rimbalzo del pallone o quello di un’idea? Rudi Garcia è alla soglia dei 60, per una decina d’anni ha giocato, da un ventennio allena, ha smesso di credere a Babbo Natale all’età in cui è capitato agli altri e conosce le “regole” o codici del suo mondo senza infingimenti: gli è tutto chiaro, al di là di ciò che si siano detti o taciuti, con De Laurentiis. Gli allenatori hanno una scadenza, non necessariamente contrattuale, la sua è adesso consegnata al prossimo tour de force (sei partite in ventitré giorni) e verrà orientata: tutto il resto, ovviamente, sa di ipocrisia.
Garcia resta
La panchina rimane inchiodata a modo suo e però tra Verona, Berlino, il Milan, la Salernitana, l’Union poi al Maradona e l’Empoli, si definirà l’orizzonte di un allenatore consapevole di dover scongiurare la crisetta che si avverte nell’aria, è di risultati ma anche ambientale, è una fusione assai fredda che non ha ancora lasciato nulla. Ci sono 540 minuti di gioco, dal sabato della prossima settimana, comincerà un’altra vita - chissà se breve o se lunga - apparterrà esclusivamente ai risultati, che eventualmente incideranno solo se immediatamente De Laurentiis dovesse rendersi conto che sarebbe indispensabile e inderogabile intervenire.
Alternative a Garcia
Il Napoli non ha mai avuto un piano B rispetto ad Antonio Conte, pur avendo doverosamente osservato dal buco della serratura il resto del panorama internazionale, lasciato però distante dai pensieri. Conte era la scelta unica e la decisione, umanamente e personalmente inattaccabile dell’allenatore, di «godersi la Famiglia», non ha scatenato ulteriori ricerche. Però, ed è semplice e deduttivo, se il Napoli di Garcia dovesse rimanere entità astratta, se i primi quattro posti (ma poi perché i primi quattro, quasi ignorando il primo che pure gli è appartenuto sino a giugno scorso?) diventassero un profilo distante, se la Champions attuale e quella che verrà dovessero trasformarsi in tormento, se il patrimonio tecnico scivolasse verso la normalizzazione, sarebbe superfluo pensare di interpretare Nostradamus e scontato intuire i ragionamenti di Aurelio De Laurentiis, che da imprenditore non vorrebbe restarsene fuorigioco.
Garcia dentro o fuori: ci sono altri due nomi
Rudi Garcia non ha bisogno di accomodamenti dialettici, c’è già passato per i sentieri del calcio, gli sono note le diramazioni, le deviazioni, le alternative e gli incroci (pericolosi oppure liberatori, dicevano gli allenatori degli anni ’70): Antonio Conte preferisce l’aria di casa sua però Igor Tudor, che nel suo “piccolo” ha espresso qualcosa di sé, è uno studioso che scruta il calcio e che a Marsiglia e prima a Verona e poi alla Juve come collaboratore e a Spalato si è costruito una personalità e una credibilità; ma anche Marcelo Gallardo, che due anni fa ha stupito dal vivo Mauro Meluso, il diesse, potrebbe poi trovare una rotta giusta, se il calcio di Garcia si mettesse a scherzare con il fuoco. Nel calcio, talvolta, non ci si inventa nulla: e la chimica sta rinchiusa in un involucro piccolo. Sei partite, 540 minuti: dentro o fuori, senza tanti giri di parole né di pallone.