Napoli, contro il Cagliari tornano le frecce tricolori

Calzona, al debutto in Serie A dopo la notte di Champions, punta tutto sugli uomini che hanno vinto il campionato con Spalletti

NAPOLI - Si può provare ad afferrare il passato per lasciarlo volare via, con tutta la sua leggerezza: cos’altro chiedere a se stesso, se non la prova provata d’aver vissuto e splendidamente? Resta ancora un attimo di quel tempo da ritrovare attraverso le stesse idee, le identiche espressioni, quelle movenze che sono appartenute al Napoli e l’hanno elevato a Grande Bellezza: in quattordici appuntamenti, andando a scavare nelle pieghe della memoria, può nascondersi un destino che nessuno lusinga ma che avvolge i sogni di Francesco Calzona, quelli di Aurelio De Laurentiis, quelli di una squadra che fino a giugno scorso si poteva canticchiarla come nelle strofe degli Anni 60 e che ora, quasi per intero, sta lì, immersa con la testa a Cagliari e su un’isola in cui riscoprire la felicità smarrita. 

Napoli, rieccoli

E invece di andare dall’uno all’undici, adesso - i contemporanei lo sanno - basta darsi un ritmo sul modulo, il 4-3-3, e declamare secondo appartenenza tattica. Rieccoli qua i nove o i dieci undicesimi delle frecce tricolori, quell’aviazione che ha solcato il cielo calcistico battendo tutte (e proprie tutte) le avversarie di un campionato stradominato e vinto non con cinque giornate di anticipo, come disse l’aritmetica, ma assai prima: Francesco Calzona ha impiegato un paio di albe, ed anche qualche tramonto, poi ha risistemato i cocci di ciò che gli è stato offerto per la sua breve eredità ed ha incollato il Napoli di Spalletti che sembra di risentirlo. Manca ovviamente Kim, si sa da un anno e poi ufficialmente da luglio, e però là in mezzo c’è comunque una faccia tosta come Juan Jesus che ha avuto modo di prendersi la propria dose, mica minima, di gloria; e non c’è neppure Di Lorenzo, ch’è squalificato ma ha deciso di starsene con la squadra in ritiro ed è volato a Cagliari con il gruppo: poi, sono gli stessi, in mezzo o sulle fasce, a centrocampo e in attacco, in quel luogo favolistico che ha dato un senso ad un’impresa storica. 

Napoli, l'attacco

E quindi, Meret in porta, Mazzocchi (“l’intruso”, si fa per dire) a destra e Olivera a sinistra; Rrahmani e Juan Jesus a fungere da frangiflutti e a seguire, quel sestetto da perdersi nel palleggio, nelle accelerazioni, negli attacchi frontali o laterali, nei movimenti che sembravano fossero passi di danza: la regia è di Lobotka, chi se non lui anche per il ct della nazionale slovacca?, che alla sua destra avrà Anguissa - e spera sia quello dell’ultimo quarto d’ora della gara con il Barcellona - e alla sua sinistra potrà abbracciare Zielinski, il cantore di un’epoca infinita, otto anni sanno d’eternità, non un “reietto” che in scadenza di contratto sta andando altrove. E in attacco, ciò ch’è stata sinfonia. 


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Napoli, i codici

Perché quel terzetto, il tridente, un anno fa ha messo complessivamente assieme quarantanove reti mentre adesso, tra impicci vari, si sono fermati a ventidue, assai meno della metà: e la differenza, a quattordici gare dal congedo, è nelle loro corde, nella loro ingordigia, in quella chimica che da Cagliari in poi, passando anche dal Sassuolo (mercoledì) e dalla Juventus (domenica prossima), può imprimere la svolta o spingere alla rassegnazione. Il Napoli che tenta disperatamente di salvare se stesso, non semplicemente una stagione, si aggrappa alla propria memoria, ai codici offensivi di quella invenzione che Luciano Spalletti ha reso un modello di perfezione, ad un gruppo che alle 15 dovrà rinunciare a Di Lorenzo e all’infortunato Ngonge ma che comunque si porta appresso, anzi dentro, le fresche indicazioni del suo nuovo allenatore, debuttante in Serie A da titolare di una panchina che alza il naso e insegue la scia delle proprie frecce tricolori. Altrimenti, c’è il vuoto. 


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NAPOLI - Si può provare ad afferrare il passato per lasciarlo volare via, con tutta la sua leggerezza: cos’altro chiedere a se stesso, se non la prova provata d’aver vissuto e splendidamente? Resta ancora un attimo di quel tempo da ritrovare attraverso le stesse idee, le identiche espressioni, quelle movenze che sono appartenute al Napoli e l’hanno elevato a Grande Bellezza: in quattordici appuntamenti, andando a scavare nelle pieghe della memoria, può nascondersi un destino che nessuno lusinga ma che avvolge i sogni di Francesco Calzona, quelli di Aurelio De Laurentiis, quelli di una squadra che fino a giugno scorso si poteva canticchiarla come nelle strofe degli Anni 60 e che ora, quasi per intero, sta lì, immersa con la testa a Cagliari e su un’isola in cui riscoprire la felicità smarrita. 

Napoli, rieccoli

E invece di andare dall’uno all’undici, adesso - i contemporanei lo sanno - basta darsi un ritmo sul modulo, il 4-3-3, e declamare secondo appartenenza tattica. Rieccoli qua i nove o i dieci undicesimi delle frecce tricolori, quell’aviazione che ha solcato il cielo calcistico battendo tutte (e proprie tutte) le avversarie di un campionato stradominato e vinto non con cinque giornate di anticipo, come disse l’aritmetica, ma assai prima: Francesco Calzona ha impiegato un paio di albe, ed anche qualche tramonto, poi ha risistemato i cocci di ciò che gli è stato offerto per la sua breve eredità ed ha incollato il Napoli di Spalletti che sembra di risentirlo. Manca ovviamente Kim, si sa da un anno e poi ufficialmente da luglio, e però là in mezzo c’è comunque una faccia tosta come Juan Jesus che ha avuto modo di prendersi la propria dose, mica minima, di gloria; e non c’è neppure Di Lorenzo, ch’è squalificato ma ha deciso di starsene con la squadra in ritiro ed è volato a Cagliari con il gruppo: poi, sono gli stessi, in mezzo o sulle fasce, a centrocampo e in attacco, in quel luogo favolistico che ha dato un senso ad un’impresa storica. 

Napoli, l'attacco

E quindi, Meret in porta, Mazzocchi (“l’intruso”, si fa per dire) a destra e Olivera a sinistra; Rrahmani e Juan Jesus a fungere da frangiflutti e a seguire, quel sestetto da perdersi nel palleggio, nelle accelerazioni, negli attacchi frontali o laterali, nei movimenti che sembravano fossero passi di danza: la regia è di Lobotka, chi se non lui anche per il ct della nazionale slovacca?, che alla sua destra avrà Anguissa - e spera sia quello dell’ultimo quarto d’ora della gara con il Barcellona - e alla sua sinistra potrà abbracciare Zielinski, il cantore di un’epoca infinita, otto anni sanno d’eternità, non un “reietto” che in scadenza di contratto sta andando altrove. E in attacco, ciò ch’è stata sinfonia. 


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