© LAPRESSE La vera sconfitta è l’amore apatico
I risultati confondono spesso le acque. Sembrano lanterne e sono lucciole. I tre punti di domenica sera sono tra le più ingannevoli lucciole della storia. Buone solo per adescare sempliciotti dal palato grosso. Boomerang puro. Fanno più male a chi li ha presi o a chi li ha persi? Qualcuno tra Trigoria e Boston si starà interrogando se non sia il caso piuttosto di maledire quel Di Bello da Brindisi, che ha scelto di accecarsi pur di non vedere? La risposta, la conoscete tutti. Di Francesco alla Roma continua ad esistere solo per inerzia, difetto d’immaginazione, eccesso di dubbio, mancanza di alternativa. Fate voi. Tutto meno che per convinzione. La sua vita in giallorosso è sul cornicione. Basta il primo soffio a buttarlo giù. Di Bello non ha soffiato. Non sappiamo perché, ma non l’ha fatto, e Difra è salvo. Fino al prossimo soffio.
Se togli il velo dei tre punti e la sbornia dei cinque gol, la serata di domenica all’Olimpico è stata lo specchio fedele della Roma di oggi: una disperante mediocrità. Una delle più tristi. Visivamente insostenibile già dalle tribune. In meno di trentamila, di cui nemmeno cinquemila paganti (gli standard del Frosinone, sotto l’Udinese), infreddoliti e ostili, dentro una serata gelida e dentro uno stadio inospitale. Hanno taciuto all’inizio e fischiato alla fine, i primi a fregarsene del risultato. Empatia con la squadra, zero. Empatia tra i giocatori, prossima allo zero. Empatia tra squadra e allenatore, non pervenuta. A furia di non sapere più chi è, la Roma non sa più nemmeno di dover essere. Vive di improvvisazioni e di palle inattive. Inattivo tutto. I giocatori tra loro non parlano, a malapena si conoscono. Abbiamo seguito la partita di Nzonzi. Non l’abbiamo perso di vista. Il suo monopasso, non si sa se più aristocratico o apatico. Impressionante. Il suo messaggio ai compagni e al mondo: io sono uno straniero, la cosa mi riguarda, ma fino a un certo punto.
Dico la parte per il tutto, Nzonzi per dire il resto. Monchi ha estirpato l’anima di questa squadra, prima ancora del talento, e l’ha ripopolata con una dozzina di giocatori che, al momento, non sono nemmeno una somma di singoli. La perdita d’identità collettiva. Questa è la vera sconfitta che si respira oggi nell’As Roma. Il deserto. Punti persi? Incalcolabili. Non ci credono i tifosi, non ci credono i giocatori e forse nemmeno la maggioranza dei dirigenti. Ci crede solo Eusebio, costretto a crederci, per carattere e per necessità. Ma la sua faccia, sempre più buia, è la faccia di un uomo dal destino segnato. E gli uomini, di tutto il pianeta, vogliono leader dalla faccia di luce, e se deve essere buio, che sia tenebra. La serata di domenica, fredda, cupa, mediocre, lunatica, ha “svelato” questa sconfitta come non mai, tra campo e spalti (non è un caso che il più sensibile di tutti, lo svedese Olsen, l’abbia somatizzata più di chiunque). La Roma di oggi ha solo il pubblico delle grandi occasioni (sempre più rare) e i calciatori dei match che contano (sulle dita di una mano).
Le cose accadono quasi sempre a nostra insaputa. Mentre cresceva una generazione di pettegoli e di tatticoinomani, una clonazione di massa, tra chiacchiere da bar e la gaia scienza dei numeri, l’erezione dello schema a fregola collettiva, si perdeva di vista l’essenziale. Ciò che fa del calcio la materia dei sogni. La possibilità per il tifoso d’identificarsi con questo o con quel modello eroico. La Roma ha, non so quanto scientificamente o maldestramente, smantellato proprio questo, l’arsenale onirico della squadra. Cito alla rinfusa, Salah, Alisson, Rüdiger, Nainggolan, Strootman, ci metto dentro anche Gervinho e Paredes, sostituendole con “stranieri”, “malconci” e “indecifrabili”. Con chi s’identifica oggi il tifoso giallorosso? In quale gesto, volto, suggestione della Roma di Monchi trova lo spunto per ancorare la sua spesa onirica, la sua voglia d’innamorarsi? De Rossi e poi il nulla. Cosa credete sia questa catapulta di massa nei confronti di uno come Zaniolo, talento schiumante ma pur sempre un ragazzo? Pura nostalgia di ciò che manca. Il calcio è questo delirio, o non è.
La vera sconfitta della Roma, oggi, sta tutta qui. Enorme e tragica. Riaccendere il motore non sarà facile.
