ROMA - È tornato ad allenarsi con il gruppo dodici giorni fa, dopo uno stop di un mese e mezzo per la lesione tendinea dell’adduttore della gamba destra. Henrikh Mkhitaryan ha perso dieci partite da quando si è fermato lo scorso 30 settembre, e non è escluso che possa saltare anche l’undicesima per tornare nelle migliori condizioni nella trasferta contro il Verona di domenica prossima.
Il dubbio di Paulo Fonseca, ma in generale della Roma, è se portare il trequartista a Istanbul, per la gara di Europa League contro il Basaksehir. Due i principali motivi. Prima di tutto di natura fisica, con il giocatore che non ha ancora disputato un minuto in campo dal suo rientro in gruppo, e inserirlo in una partita così importante e delicata per le sorti di qualificazione ai sedicesimi di Europa League potrebbe essere un azzardo eccessivo.
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Il secondo motivo è di natura politica. Mkhitaryan, capitano della nazionale armena, si troverebbe buttato nella mischia - quasi sicuramente a partita in corso - in uno stadio che non lo accoglierebbe nel migliore dei modi visti i freddi rapporti che intercorrono tra i due paesi. La Turchia tuttora non riconosce ufficialmente il genocidio di oltre un milione e mezzo di armeni nel 1915, pianificato sotto l’Impero Ottomano. Un genocidio formalmente riconosciuto invece dal governo italiano e, da meno di un mese, anche dagli Stati Uniti: "Il parlamento turco condanna e non riconosce l'adozione da parte della Camera dei Rappresentanti americana di un documento in cui si aderisce alla teoria del genocidio armeno. Una decisione che getta ombre su verità storiche e va a discapito dei membri del congresso che hanno mostrato saggezza e coscienza”, la riposta firmata da quattro dei cinque partiti del parlamento turco, compreso il partito di governo Akp, di cui il presidente Erdongan è leader.
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“La squadra di Erdogan”, così viene soprannominata l’Istanbul Basaksehir (i colori sociali sono l’arancione, il bianco e l’azzurro, gli stessi del partito conservatore), ha come presidente Goksel Gumusdag, vicesindaco di Istanbul e membro dell’Akp. Insomma, il partito di Erdogan e Gumusdag ha negato ancora una volta il genocidio armeno, e Mkhitaryan dovrebbe scendere in campo contro la loro squadra di calcio. In uno stadio che promette fiamme e fuoco vista l’importanza della gara, riempito dai fischi assordanti degli ultrà. Si fanno chiamare “Il gruppo 1453”, dalla data della presa di Costantinopoli da parte del sultano Maometto II: sono nazionalisti e islamisti, sostenitori ovviamente di Erdogan e del suo modello politico.
Naturalmente l’incolumità del giocatore non è in discussione, la polizia turca ha messo a disposizione la scorta per i vari trasferimenti della Roma nella città, i dubbi sono esclusivamente di ragione sportiva. Fonseca si sta chiedendo se vale realmente la pena portare a Istanbul un giocatore che non ha ancora pienamente recuperato il ritmo partita e la forma fisica, rischiandolo a partita in corso in uno stadio che lo fischierebbe e che potrebbe destabilizzare la prestazione dell’armeno se inserito in campo. Una possibilità è lasciarlo nella Capitale, continuando ad allenarsi a Trigoria nei due giorni di trasferta dei compagni di squadra, per poi impiegarlo con maggiore serenità nella trasferta di Verona. Dubbi che il tecnico scioglierà domani in conferenza stampa e con le convocazioni. Mkhitaryan (che per entrare in Turchia dovrebbe ritirare il visto all'aeroporto di Istanbul) ha comunque dato il suo ok alla trasferta, ancora scottato del forfait (con una situazione però decisamente più critica) nella finale di Europa League non giocata in Azerbaigian contro il Chelsea, sempre per motivi politici. Il trequartista nel corso della sua carriera ha già disputato due partite in Turchia, entrambe a Istanbul. Mai però contro “la squadra di Erdogan” e i suoi gruppi ultrà nazionalisti.
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