Roma, l’inspiegabile che si spiega

Roma, l’inspiegabile che si spiega© LAPRESSE
di Ivan Zazzaroni
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Mourinho le chiama “le nostre difficoltà”. Sono i limiti oggettivi di una squadra che senza Dybala, la sua alta qualità, vede ridurre la capacità di segnare e risolverla. Individualmente, intendo. Contro l’Atalanta più realista e concreta di Gasperini, la Roma le ha mostrate tutte, le proprie difficoltà: ha giocato, creato, dominato, sbagliato. Sbagliato tanto, tutto. E sempre individualmente. Ha sbagliato per primo Abraham, due volte solo davanti al portiere; come lui ha fatto Zaniolo e peggio di entrambi Shomurodov che nel finale ha trovato la porta aperta e di testa non è riuscito a centrarla. Venti conclusioni, zero gol. Dalla parte opposta una conclusione, tre punti. E non è casuale che il successo l’abbia firmato Giorgio Scalvini, 18 anni, difensore e all’occorrenza centrocampista, l’unica volta che ha potuto avvicinarsi all’area di Rui Patricio: è lui l’immagine del rinnovamento.



Sono state sufficienti sette giornate, poco più di un mese, per stabilire la dipendenza che mi attendevo, quella da Dybala: a questa Roma serve come il pane l’improvvisazione, la genialata, soprattutto se - come ieri - la partita prende la piega del fatalismo, della sconfitta inevitabile, e se l’arbitro va in confusione: nel primo tempo, forse sulla scorta delle decisioni prese troppo rapidamente nel derby, Chiffi non ha estratto almeno 4 gialli, due per parte; nella ripresa è sembrato addirittura intimidito, spiazzato dall’aumento della pressione e di conseguenza distante dal controllo al quale è deputato. La reazione - plateale - di Mou, che l’ha pagata con l’espulsione, è stata più di memoria, di precedenti riemersi, che di presente. Qualche riga la riservo anche al terreno dell’Olimpico più volte criticato da Sarri e Mourinho. È forse il peggiore della serie A e allora mi chiedo come sia possibile, nel 2022, presentarlo in queste condizioni: è come se avesse appena ospitato due edizioni di fila del Sei Nazioni. Il pallone scorre lento, gli avvallamenti si sprecano, il controllo risulta esercizio acrobatico: i giocatori faticano a produrre qualcosa di lineare, infatti è spesso in aria. Il pallone. Così come il risultato.

Il valore di Allegri e la Juvirtuale

Pur occupandomi della Roma, non fuggo dalle opinioni personali, e dalle cose scritte, neppure davanti all’imbarazzante sconfitta della Juvirtuale a Monza (bravo e coraggioso Palladino). Rivisti Paredes, McKennie, Vlahovic, il Vlahovic attuale, e Kostic, confermo che Max resta il valore più elevato della Juve e per questo in grado di risollevarla. Non credo - come sento dire e spesso leggo - che Nedved e Arrivabene lo vogliano fuori dalle palle. Fatico a entrare nei pensieri di Pavel, ma credo di conoscere abbastanza bene l’amministratore delegato per poter affermare che la sua priorità è sempre l’azienda e tutti quelli che ne fanno parte e che non gradisce affatto le rivoluzioni in corsa e al buio.
Anche l’anno scorso la partenza di Allegri fu orribile, ma alla fine riuscì ad aggiustare la stagione del post-Ronaldo. Ora è forse più dura: ieri in campo c’erano giocatori che avevano assorbito le tensioni del momento, gente senza il temperamento da grande squadra, visibilmente trattenuta, spaventata o con la testa in tilt (Di Maria). Durante la sosta sono curioso di verificare fino a che punto il management sia in grado di individuare i problemi e le soluzioni.
Trovo poi che nelle ultime settimane si siano toccate straordinarie punte di cialtroneria: ho sentito dire che nei due anni di “ferma” Allegri non si sarebbe aggiornato. Gli stessi che sparano queste cazzate potrebbero suggerirgli, che so, di frequentare il Cepu o le lezioni online di Pegaso e Unicusano.


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