Il (non) gioco di José Mourinho

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Il (non) gioco di José Mourinho© AS Roma via Getty Images
Ivan Zazzaroni
7 min

Carlos Alberto ha sparato un po’ di cazzate su Mourinho e il Brasile. L'avrà fatto per affetto e stima, spero. Di vero c’è che la CBF l’ha cercato, e lo è altrettanto che Ronaldo il Fenomeno ha provato a convincerlo. Ma José non ha nemmeno accettato di sedersi al tavolo perché, come disse anni fa, «solo uno straniero pazzo allenerebbe il Brasile»: le sue riserve non riguardano ovviamente la straordinaria qualità dei giocatori, né il prestigio della Seleçao. Al contrario, un pensiero al Portogallo, le radici, l’aveva fatto eccome, a fine dicembre. Mai, però, avrebbe lasciato la Roma a metà : suggestivo il doppio incarico. Jorge Mendes e Valdir hanno effettivamente incontrato il presidente della federcalcio portoghese, chiarendo che non c’erano le condizioni per sviluppare la trattativa perché la Roma non avrebbe concesso il nullaosta.

Questa seconda stagione nella capitale ha riportato Mou indietro di vent’anni: alle prime avventure in panchina, a difficoltà che nel tempo e con i tanti successi ottenuti aveva dimenticato: per la verità, si erano incredibilmente ripresentate, le difficoltà, ma su altri piani e con altri numeri, allo United e al Tottenham. L’estate scorsa, sempre nel rispetto (assoluto) del ruolo di Tiago Pinto, lo Special è intervenuto per invitare Dybala, Wijnaldum, Matic e Belotti a raggiungerlo e provare ad alzare il livello tecnico e di esperienza della squadra: molta resa con poca spesa, una condanna. L’olandese si è però rotto subito e non si sa se sarà impiegabile a febbraio e Belotti è entrato in un’inimmaginabile crisi di fiducia (José si sarebbe dato fuoco pur di non perdere a zero Mkhitaryan). Mou, il centro di tutto, non si è mai lamentato: giusto qualche battutina. Ha invece lavorato per la società, orientandosi sui “bambini”, come li chiama lui, alcuni dei quali hanno già mercato (Bove e Volpato il Sassuolo li prenderebbe domattina, Zalewski piace a tutti, Tahirovic può diventare un top). Ieri ho riso quando ho saputo che aveva assistito a Roma-Lecce Primavera: prossimamente andrà a caccia di talenti all’uscita dagli asili. In altre parole, l’allenatore dei 26 titoli, l’ultimo dei quali proprio con la Roma, ha dovuto accantonare l’obiettivo massimo per lasciare comunque una traccia profonda.

Non potendolo attaccare su punti e posizione (ha la classifica che corrisponde alla qualità della Roma: Napoli, Juve, Milan e Inter sono decisamente più forti) certa critica e qualche tifoso gli rimproverano “un gioco di merda. Le stesse accuse che per mesi sono state mosse a Allegri, oggi secondo. Tutto è spiegabile, se si evitano superficialità e umoralità e non si coltivano pregiudizi: la Roma ha tre difensori forti di testa, ma con piedi non proprio eccezionali, non a caso perdono palloni in costruzione, in uscita, e sono assai imprecisi nei lanci. La mediana è, per caratteristiche, difensiva e lenta (Cristante, Matic, Tahirovic): l’arretramento di Pellegrini riduce l’incidenza del capitano e aggiunge poco alla manovra; Spinazzola è spesso out e Celik ha dei limiti tecnici evidenti. Corre, però. Ha cuore.  
Il lancio lungo a scavalcare il centrocampo viene valorizzato di rado dalle spizzate di Abraham (Dzeko è un’altra cosa) e Zaniolo tenta quasi esclusivamente la giocata personale. Dybala, il migliore per distacco, la risolve come può: guadagna un rigore, una punizione, segna e assiste i compagni, ma è costretto a un numero imprecisato di rientri che finiscono per ridurne lucidità e tenuta.  

Insomma, troppe menti quadrate e poche verticali, per dirla alla Caramagna: ed è proprio sul calcio verticale, tanto amato da Capello e Allegri (e Berlusconi...) , che Mou investe non po tendo permettersi altro. Quando il mondo è storto, basta fare una verticale per raddrizzarlo.

PS. Una precisazione dopo aver ascoltato domenica l’ottimo Compagnoni di Sky affermare che «Shomurodov è stato fortemente voluto da Mourinho»: manco lo conosceva, né ricordava di averlo affrontato in coppa. L’ha preso Pinto dal Genoa nel periodo in cui l’uzbeko era un “buon prospetto (non gliene faccio una colpa) pagandolo 17,5 milioni (1,5 per il prestito e 16 per il cartellino). 


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