Zaniolo, il calcio non aspetta

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Ivan Zazzaroni
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Il medico curante di La Spezia, casa Zaniolo, gli dà 30 giorni di riposo a quattro mesi dalla fine del campionato (Amatori?). Quello fiscale, chiamato dalla Roma, lo trova in uno stato psicofisico non ottimale e lo ferma “a tempo indeterminato”: sette giorni?, dieci?, un mese?, un anno?, forever and ever? L’agente dice la sua, la famiglia lo riempie di consigli. Anche troppi: ma è pur sempre la famiglia, l’origine di tutto. Nicolò, confusissimo, passa dalla rabbia per i primi fischi dell’Olimpico all’avvilimento e alla paura per le minacce subite, dalla frustrazione per le parole dell’allenatore («è fuori dal progetto») alla gioia per l’inserimento nella lista Uefa. L’istante di ritrovata positività svanisce di fronte a una realtà assai diversa, una realtà di rottura. In mezzo a questa folle altalena di sensazioni, atteggiamenti, umori e reazioni, ci sono la volontà di andare nel club più gradito, il Milan, che però non è in grado di accontentare la Roma, e il no che diventa un sì, ma in colpevole ritardo, al Bournemouth.
Nicolò quando prenderà in mano la sua vita, la carriera, comprendendo che il calcio è un lavoro, un bellissimo lavoro che richiede - anzi, pretende - sacrifici, RINUNCE, solitudine, disciplina, responsabilità, buonsenso, pazienza, misura e, per dirla alla Sacchi, anche bus de cul?

Così Nicolò si butta via

Ho conosciuto calciatori di livello mondiale che hanno giocato e vinto senza le ginocchia dopo quattro interventi chirurgici; altri che, pur di non mollare, sono arrivati fino a 45 anni (45 sul campo); altri ancora che per tutta la vita si sono accontentati di riso in bianco e bresaola oppure sushi e verdure miste, collezionando record e trofei; e migliaia di ragazzi che a dodici, tredici anni hanno vissuto lontano dalla famiglia soltanto per un sogno. Tanti non ce l’hanno fatta.
Nicolò ha cose buone dentro di sé: ma si butta via. A volte mi chiedono se il calcio è tutta allegra fuffa o se insegna qualcosa. Fuori di retorica, è anche scuola di vita, con il disagio personale che colpisce perfino i fortunati come Zaniolo, con i compagni, i padri, le mamme, le donne con lo schermo, quelle vere, il successo, la depressione dei privilegiati (fa tanto vissuto) e la pressione dell’ambiente. Guardandosi intorno si capisce che Nicolò fa parte della gioventù covidizzata, la generazione post-pandemia. Come fosse un adolescente. Ma è ancora in tempo. Anche se il calcio produce continuamente sostituti.
PS. Per raggiunto sfinimento, anticipo che per un po’ non scriverò più. Di Zaniolo.


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