È qui la testa (di Mourinho)

Leggi il commento del direttore del Corriere dello Sport-Stadio
Ivan Zazzaroni
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La scena è questa. Le squadre stanno rientrando in campo dopo l’intervallo, Mourinho supera la fila dei giocatori del Lecce, incrocia Hjulmand, il capitano, e sorride dandogli il cinque. L’arbitro Aureliano, quarantatreenne avvocato bolognese (ne dimostra qualcuno in più), rivolgendosi al tecnico: «Ti dovevo ammonire». «Ehhh!?», è la risposta di José. Aureliano si gira verso il centrocampista danese e dice - il labiale è chiarissimo, lo riporto testualmente -: «Quante partite ha? (il soggetto è Mourinho, nda), che cosa ha vinto nel mondo? Dove ha giocato a calcio? Dimmelo… Quindi quando uno diventa grande così…» e porta l’indice della mano destra all’altezza della tempia, come a dire «questo è intelligente, ha cervello». L’organo poco usato da tanti, in particolare dai fegati spappolati che frequentano il nostro calcio. Scena o scenetta a parte, due parole sulla partita. Mi bastano. Non è stata bella. La Roma ha creato molto di più: Falcone ha evitato in almeno tre occasioni la sconfitta, mentre Rui Patricio, subìto il gol iniziale, si è limitato a qualche lancio, un paio dei quali sbilenchi: in effetti la squadra di Baroni, tonica e aggressiva (24 falli a 8), è quasi sempre rimbalzata contro Smalling, Ibañez e compagnia.

La Roma è questa

Anche la Roma, così come la scena, è questa. Una squadra che - lo ripeterò fino a sfinirvi - non può fare a meno di Smalling, Pellegrini, Matic (ieri non in giornata), Dybala e Abraham, e condanna l’allenatore a effettuare la prima sostituzione all’83esimo: Wijnaldum, ai primi passi in campionato, è inevitabilmente sfasato, mentre Solbakken deve essere ancora resettato: serve tempo. Il norvegese ha qualità tecniche e fisiche, ma ha sempre giocato nel 4-3- 3 aperto in fascia. Non può fare il lavoro di Zalewski e El Shaarawy perché non ha attitudini difensive e in avanti non si è mai mosso tra le linee come Pellegrini e Dybala. Proviene da un altro calcio e quattro settimane di lavoro non sono state sufficienti per farlo entrare in un’organizzazione che non conosce. Quello che colpisce della squadra di Mou, che ha 6 punti in più e quattro sconfitte in meno rispetto alla scorsa stagione, è la ricerca della praticità, l’essenzialità e l’applicazione con cui prova a superare i propri limiti: i princìpi sono giusti, perfetto lo sfruttamento delle risorse mentali e fisiche. Non ruba l’occhio perché abbina l’attenzione difensiva alla costruzione in sottrazione e alle giocate dei suoi risolutori. Il punto preso a Via del Mare è in assoluto poco soddisfacente, diventa prezioso nel preciso momento in cui ci si ricorda del fatto che in casa il Lecce ha battuto Lazio e Atalanta, pareggiato con Fiorentina e Milan e perso, ma solo al 95’, con l’Inter. La Roma di Mourinho non è soltanto ciò che mostra, è anche e soprattutto ciò che riesce a nascondere lasciando a tifosi e critici il compito di capire.


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