Mourinho: "Lo sport ad alto livello è crudele, esclude i deboli. Il Papa è uno di noi"

Nel decimo anniversario dell’elezione di papa Francesco, il tecnico della Roma è intervenuto al Centro Fede e Cultura “Alberto Hurtado” della Pontificia Universita? Gregoriana
Jacopo Aliprandi
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ROMA - Nel decimo anniversario dell’elezione di papa Francesco, il Centro Fede e Cultura “Alberto Hurtado” della Pontificia Universita? Gregoriana ha scelto come tema annuale per il proprio ciclo di conferenze pubbliche quello del futuro, tra paure e speranze. Ospite della prima giornata di incontro José Mourinho: “Purtroppo il mio sport è un mondo diverso dallo sport che noi vorremmo per i nostri bambini. Lo sport di alto rendimento è crudele, non c’è spazio per i più deboli e l’obiettivo è chiaro: vincere. E i primi a portare i figli verso la crudeltà dello sport di alto rendimento sono i genitori con le loro ambizioni - ha proseguito - Nello sport di base si impara tanto, si impara di più che dentro della propria casa. ll bello del calcio di formazione è l'empatia, la solidarietà e prevede la ricerca nella gioia di vincere e sapere che quando si perde la sconfitta non è l’inizio di un periodo difficile, ma il finale di un momento difficile”.

Mourinho ha poi parlato anche di Papa Francesco: "È uno di noi. Ho anche paura di dirlo - precisa poi Mourinho -  Non vorrei che poteste pensare che sia una mancanza di rispetto. Ma con Papa Francesco utilizzo un’espressione calcistica: è uno di noi. Tante volte passeggio per  Piazza San Pietro e penso che mi possa salutare dalla finestra. Non l’ho mai conosciuto personalmente, ma se un giorno dovessi farlo credo che la mia reazione sarebbe di volere un abbraccio da lui. Non riesco a vederlo soltanto come “Sua Santità, perché per me è così vicino, normale, è uno di noi per come parla, tutti lo capiscono perfettamente. E’ un nonno”.

Sui tifosi della Roma: "Dal punto di vista sociale la gente ha bisogno di un riferimento, che non sono io ma è il club, in questo caso il nostro club. Questa empatia, questo senso di appartenenza, di famiglia, questo senso di 'vinciamo e siamo felici, perdiamo e siamo tristi ma siamo insieme' è un po' come nelle famiglie. Se c'è qualcosa da festeggiare siamo molto felici, se c'è qualcosa per cui piangere lo facciamo insieme. La vita è più importante del calcio, le nostre famiglie sono più importanti di quelle del calcio, ma la Roma in questi anni è riuscita a fare per la gente, la gente ha risposto in modo fantastico. Il modo più facile per è essere pragmatico e obiettivo, e dire vince tanto è un grande club. Nessuno che capisce di calcio non può dire che il Real Madrid è il più grande della storia. Ci sono club che non hanno mai vinto ma sono grandi dal punto di vista social e affettivo, in questo senso di appartenenza che può esserci anche in un piccolo villaggio, di bambini. Magari un paese che perde sempre, ma è il mio paese. La Roma ha questa bellezza, siamo una città dove la comunicazione locale divide o cerca di dividere. E per questo sono ancora più speciali. Non dovete ringraziarmi ma io ringrazio voi per quello che mi avete dato in questo tempo". 


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