Padre Mourinho benedice i tifosi

Lo Special One si racconta alla Pontificia Università Gregoriana: la sua esperienza da professore, i consigli ai giovani e le paure della vita quotidiana
Padre Mourinho benedice i tifosi© BARTOLETTI
Jacopo Aliprandi
5 min

ROMA - Un incontro con il vero Mourinho. Non il tecnico, quello che tutti conoscono e che strategicamente ha scelto di non parlare oggi e alla vigilia della gara col Torino (appuntamento al Feyenoord, in Europa League), non quello dei 25 trofei che continua a sorprendere con il suo carisma, la sua personalità e le sue vittorie. Un incontro con José, l’uomo pieno d’amore, circondato dalla fede e dalla spiritualità, in lotta con le sue paure e le fragilità della vita quotidiana. Il José che non teme di dire la verità sul calcio agonistico, «crudele nei confronti del più debole», e che crede nella vita, «quella reale», non quella che si vede sugli schermi idealizzata dai giovani e che tende ad abbatterli e a smarrirli dai veri obiettivi e dai traguardi che si possono raggiungere. Confondendo così quello che è il vero fallimento: «Avere le capacità ma non riuscire a svilupparle. I giovani non devono sprecare il loro potenziale umano, non lasciarsi abbattere dalla sconfitta che non è l’inizio bensì la fine di un periodo difficile». Questo è il vero José Mourinho, che non viene percepito dal campo di calcio, che non può essere interpretato da una conferenza post partita - quelle continuerà a farle, anche in campionato - ma soltanto in un momento di riflessione come quello vissuto ieri pomeriggio nella Pontificia Università Gregoriana, nella prima giornata del ciclo di conferenze “Camminando Verso Lisbona - 10 anni di Francesco”. 

L'amore alla base

Lì José ha interloquito con Sua Eminenza, il Cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Un incontro che ha toccato profondamente il sessantenne portoghese tra aneddoti sul suo passato, momenti chiave della sua vita che hanno plasmato caratterialmente e umanamente e la sua persona. E il suo primo racconto è sul Mourinho non Special One ma professore di educazione fisica alle prese a 23 anni con l’insegnamento a una classe di bambini con sindrome di Down: «Non avevo né esperienza, né formazione, ma soltanto paura. Dopo due anni intensi, sono andato via dalla classe sentendo la tristezza dei bambini e dei loro genitori. Ero diventato un maestro eccezionale. Come? Dando quello che avevo, l’amore. Niente di più. Ho creato un rapporto con i bambini che ancora vedo quando torno in Portogallo. Perché l‘empatia e l’amore sono alla base di tutto».

Realtà e fragilità

Così come l’insegnamento ai più giovani, e viceversa: «I ragazzi vivono tante situazioni irreali che entrano nelle loro vite tramite i loro computer o ipad. Veri e propri fake che creano determinati tipi di aspettative. Poi si sentono di aver fallito, ma non è così, perché quella non è la realtà. Non sono d’accordo quando si dice che il mondo è dei giovani. Il mondo è nostro, è di tutti. Perché sia il giovane, sia l’adulto possono imparare delle rispettive esperienze». Scroscianti applausi dell’aula magna, anche dal ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi. Esperienze, dicevamo, che passano anche dai momenti di fragilità: «Da uomo cerco di gestire le mie difficoltà condividendole con i miei, nella mia intimità. Dal punto di vista professionale riesco a gestirle da solo, ho questa capacità che mi aiuta. Non sentire la fragilità significa essere in un mondo non reale, non essere in controllo della tua vita. Questa maratona di 60 anni mi ha dato la capacità di sentirmi bene nella gestione delle mia fragilità. Qualche volta mi sveglio con dei dolorini, ma dal punto di vista personale non mi cambierei con il me stesso di 50, 40 o 30 anni». 

Fedele e passione

Mourinho tra amore e fede: «Per me Papa Francesco è uno di noi, perché lo sento vicino. Se un giorno lo conoscerò la mia reazione sarà dargli un abbraccio». Come quello dato ai romanisti: «Questa empatia, questo senso di appartenenza, di famiglia, questo senso di “vinciamo e siamo felici, perdiamo e siamo tristi ma siamo insieme” è un po’ come nelle famiglie. E la gente ha risposto in modo assolutamente fantastico. Ci sono club che sono grandi anche senza vincere, lo sono dal punto di vista sociale, affettivo e per il senso di appartenenza. La Roma ha questa bellezza, ed è ancora più bello perché siamo in una città dove la comunicazione locale divide o cerca di dividere. E per questo i romanisti sono ancora più speciali. Non devono ringraziarmi, ma io ringrazio loro per quello che mi hanno dato in tutto questo tempo». Questo è Mourinho, uomo e tecnico. Due volte Special.  


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