Roma, le sette vite di Mourinho anche contro le macumbe

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Roma, le sette vite di Mourinho anche contro le macumbe© BARTOLETTI
Alessandro Barbano
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La ragion pura di Mourinho sta, come quella di Kant, tra coscienza delle possibilità e quella dei limiti. La Roma del “filosofo” portoghese è un esercizio di razionalità tattica, sostenibilità agonistica, misura dell’azzardo creativo. Tutto da tentare e nulla da rischiare. Di questi ingredienti è fatta una partita perfetta, che vale il punteggio pieno, tre su tre, in Europa League e l’allungo sui rivali di Praga. Alla vigilia della supersfida di San Siro contro l’Inter capolista, una prestazione come quella vista ieri tira su il morale.
Il simbolo di questo primato dell’intelletto è El Shaarawy, inesauribile fonte di saggezza e dimostrazione che anche l’intelligenza nel calcio ha il peso che si merita. Il Faraone non ha una corsa travolgente, ancorché è rapido, non ha colpi proibiti, magie tecniche, ancorché maneggia il pallone con la diligenza di un amministratore. Semplicemente fa sempre la scelta che concilia l’efficacia più alta con il rischio più basso. E non sbaglia mai. Per questo rappresenta per Mourinho quello che per molto tempo è stato, e in parte continua a essere, Darmian per Inzaghi: un giocatore irrinunciabile. I due assist a Bove e Lukaku, la traversa nel secondo tempo, sono le perle di una prestazione esemplare, ma non meno prezioso è il suo movimento tra le due trequarti del campo, la sovrapposizione con Zalewski, l’intesa naturale con Lukaku, a cui serve la palla che il belga sogna da sempre.
Gli otto gol di Romelu in dieci partite, tra campionato ed Europa League, dicono tutto il Rinascimento di un attaccante che soffre le tensioni dell’ambiente come pochi. Non a caso le prestazioni delle ultime due stagioni a Milano e a Londra sono imparagonabili con lo scoppiettante esordio giallorosso. Segno che Mourinho continua a spalmare il suo collante di fiducia, di energia, di solidarietà nel gruppo. Sembra quasi che le sue intemperanze abbiano la funzione di un parafulmine, che scarica le tensioni sulla sua persona e mette al riparo il gruppo.
Intendiamoci, la Roma è ancora a galleggiare al settimo posto con cinque punti in meno dell’anno scorso, ma se ha vinto di fila le ultime cinque gare (tra l’Italia e l’Europa) vorrà dire qualcosa? A giudicare dalla prestazione vista ieri all’Olimpico la risposta è affermativa. Non la buchi con facilità la ragnatela stretta che Mourinho stende attorno alla sua difesa a tre, fatta di palleggio veloce, sovrapposizione continua tra esterni e mediani, presidio centrale garantito da Bryan Cristante, un altro di quei raziocinanti di cui il tecnico portoghese non può fare a meno. Contro quest’architettura i praghesi hanno toccato con mano quanto vanagloriosa fosse la pretesa di giocare senza due attaccanti di ruolo. Nel primo tempo non si sono neanche avvicinati all’area di rigore, nel secondo ci hanno provato ma l’esito infruttuoso dei loro tentativi pareva scritto in anticipo. Non sarà lo stesso con Lautaro e compagni. Per la diversa caratura tecnica dell’Inter rispetto allo Slavia. E perché il gioco di Inzaghi non diverge da quello di Mou. Il che fa della partita di San Siro un’autentica gara di scacchi.
Per intanto chi voleva archiviare l’avventura romana dello Special è costretto a constatare una volta di più che le sue sette vite sono per davvero un attributo felino. Perché la plateale spendita delle emozioni di cui il portoghese è capace gli consentono di resettare qualunque caduta e ripartire come se nulla fosse mai accaduto. Né il gelo dei Friedkin, né il rapporto controverso con Tiago Pinto, né le macumbe dei non pochi che vorrebbero il suo scalpo. Mourinho è ancora qui e lotta con i suoi giallorossi.


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