Dybala, la risorsa da non sprecare

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Alessandro Barbano
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E due. Per chi pensa che la prima discontinuità nel calcio è quella dei risultati, la seconda vittoria consecutiva dell’era De Rossi vale un segnale importante. Noi che mettiamo il gioco in cima ai valori, siamo più prudenti. Perché le indicazioni che vengono dal campo non sono univoche e meritano conferme contro squadre più attrezzate. Però una cosa è certa: il due a uno di Salerno vale a rafforzare la nuova leadership in panchina e a rendere persuasivo l’appello che il tecnico giallorosso ha rivolto incessantemente alla squadra per tutti i novanta minuti: giochiamo, giochiamo, giochiamo. Che nel codice dello spogliatoio vuol dire: palleggiamo veloce, verticalizziamo tra le linee, osiamo nell’uno contro uno. La Roma ci ha provato nei primi quindici minuti, poi questa voglia di giocare per tutto il primo tempo si è nascosta dietro un attendismo sparagnino, un far girare inconcludente il pallone da sinistra a destra e da destra a sinistra, collezionando un possesso palla record del 75 per cento, senza sferrare un solo vero tiro in porta, e subendone invece una decina dai granata.

La Roma di De Rossi

De Rossi è perfettamente consapevole di questo limite. Non a caso ha posizionato il suo quattro-tre-tre corto e avanzato nel baricentro di una decina di metri, con gli esterni in mediana più che in difesa. Ma gli esterni sono Kristensen e Karsdorp, due che fuggono il coraggio di affondare e ripiegano sempre indietro, per paura di perdere nel dribbling. Il risultato è una Roma imballata, che traccheggia di fronte a una Salernitana perfettamente arroccata nel suo cinque-quattro-uno e pronta a ripartire, sfruttando la velocità dei suoi contropiedisti. C’è da giurare che se Inzaghi non avesse avuto solo ottimi corridori, ma anche abili finalizzatori, avrebbe chiuso la prima frazione di gioco in vantaggio di almeno due gol. Né può il tecnico granata consolarsi di allenare uno come Candreva, il cui semplice calciare il pallone, anche quando sbaglia, ritempra lo spirito di chiunque ami il calcio. La sua ispirata regia offensiva, condotta con un agonismo commovente alle soglie dei trentasette anni, non servirà a restituire al club granata la speranza di salvezza, almeno fino a quando Simy grazierà i portieri avversari come ha fatto ieri con Rui Patricio. 
Tutto questo per dire che De Rossi prende e porta a casa questi altri tre preziosi punti, che proiettano la Roma a quota trentacinque, un passo dietro all’Atalanta, ma che non sono ancora per il nuovo tecnico la prova di una svolta.

Risorsa Dybala

La sua squadra si sveglia solo quando Dybala si accende. Ma a Dybala e Lukaku la palla arriva dieci volte di meno di quanto dovrebbe, e questo è il nodo della questione. Senza affondi sulle fasce, senza velocità di palleggio tra le linee, i due fuoriclasse rischiano di essere un patrimonio che non rende quanto costa. Costringere l’argentino a rientrare nella propria metà campo per ricevere il pallone, solo perché nessuno è in grado di passarglielo negli ultimi trenta metri, è uno spreco assoluto delle sue contingentate energie. Dybala ha sessanta minuti di gioco nelle gambe, e per ogni sgroppata che fa lungo il campo ha bisogno di rifiatare per un tempo doppio. Un motivo in più per servirlo dove e come si deve, sfruttando la sua vena creativa. Il tacco con cui offre al timido Karsdorp l’illusione di sentirsi un assistman è un capolavoro che vale il suo cartellino. Quanti altri numeri potrebbe regalare Dybala se fosse considerato, come meriterebbe, la vera sorgente del gioco giallorosso? 
Con quest’interrogativo la Roma torna a casa rincuorata, ma consapevole che c’è molto da lavorare. E forse molte scelte tecniche da verificare. La difesa a quattro è un’opportunità che suggerisce di sperimentare in quel ruolo soluzioni diverse. Una su tutte: Zalewski. È ancora un investimento o solo un talento mai sbocciato? 


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