Ciao, Bobo di Tuono: l’altra faccia di Riva

Scomparso a 77 anni Sergio Gori: nato interista, juventino per mestiere ma cagliaritano per passione. Solo con la Nazionale ebbe poca fortuna
Ciao, Bobo di Tuono: l’altra faccia di Riva© ANSA
Franco Ordine
6 min

Interista per nascita, cagliaritano per passione e affinità elettiva, juventino per professione. Sono le tre vite calcistiche, prematuramente spezzate ieri mattina all’alba in una camera della Multimedica di Sesto San Giovanni dov’era ricoverato da quindici giorni, di Sergio Gori da noi tutti chiamato soltanto Bobo. Rappresentano un pezzo nobile di storia del calcio italiano d’antan che molti lutti sta collezionando insieme a moltissimi rimpianti e nostalgie. Bobo, soprannome scelto da Giorgio Barsanti, interista degli anni Quaranta, ha respirato subito il profumo della cucina toscana - con il suo papà Piero detto “Faina”, titolare delle famosissime “Colline pistoiesi”, notissimo ristorante del centro di Milano frequentato da dirigenti, tifosi e calciatori neroazzurri- e coltivato inevitabilmente l’attrazione per il calcio. Quasi scontato a quel punto l’approdo nel settore giovanile della grande Inter di quegli anni fantastici, con Helenio Herrera allenatore e Angelo Moratti presidente: gli fecero da scuola e da seconda famiglia. Il talento del ragazzo pieno di riccioli capricciosi emerse presto e c’era bisogno di vederlo maturare per intercettarne lo spessore. Così cominciò a viaggiare, secondo tecnica dell’epoca, verso la sana provincia. 

Gori, Cagliari e Gigi Riva

La prima volta prese il treno per Vicenza, spedito da Italo Allodi nello scambio con Vinicio, e si capì che il gol d’astuzia sarebbe stato la sua specialità. La seconda fu il viaggio più affascinante e importante della sua vita. Andrea Arrica, grande architetto del Cagliari campione d’Italia, realizzò lo scambio diventato un affarone economico e tecnico: alla Milano interista sbarcò Boninsegna, presero l’aereo per Cagliari in tre, Bobo Gori appunto, Domenghini e Poli con l’aggiunta di 220 milioni, ossigeno per le casse del club. Fu l’inizio di una vera cavalcata scandita da cifre di gran pregio (166 presenze, 33 gol) e in particolare dal tricolore raggiunto in un pomeriggio di sole pieno, nello stadio di un tempo, il mitico Amsicora, con una rete, la seconda, quella del 2 a 0 sul Bari di Pasquale Loseto. Cagliari divenne così l’autentica patria calcistica di Gori e non solo per i sei anni vissuti con la maglia numero nove sulle spalle. In Sardegna si sposò, lì nacquero i suoi due figli, lì prese piede la strepitosa ditta umana oltre che calcistica con Gigi Riva, la coppia ideale di un attacco sapientemente allestito da Manlio Scopigno, l’allenatore dissacrante dell’epoca. «Sono stato tra i primi falsi nueve: io arretravo e lasciavo lo spazio a Gigi che abbatteva le porte col suo sinistro micidiale» raccontò Bobo nelle lunghe serate vissute dietro le telecamere di Telenova, emittente lombarda dove ha vissuto la seconda carriera da opinionista, divertente alternativa al mestiere di ristoratore esercitato fino a qualche anno fa, ultimo indirizzo conosciuto la pizzeria in largo Augusto, a Milano.

Gori e la Nazionale

Di Riva è stato, con soddisfazione reciproca, il perfetto partner, l’amico fidato e il sostituto perfetto quando nel ’74-75 il numero undici del Cagliari fu costretto a una lunga sosta per l’infortunio patito in Nazionale. A sentire Bobo Gori il bomber ideale cominciava e finiva con la sagoma di “Rombodituono”. «Il nostro è stato un modello unico di sintonia» spiegò più volte in uno dei racconti notturni a cui aveva abituato Maurizio Mosca, il giornalista che l’aveva trascinato in tv. La sua bacheca è ancora tra le più scintillanti, infarcita di un record non da poco (quattro scudetti vinti con tre club diversi, due con l’Inter, uno con il Cagliari, uno con la Juve), e scandita da una collezione di coppe (da quella dei Campioni con l’Inter a quella Uefa del ’77 con la Juve del Trap) che in pochissimi possono mostrare. L’inserimento nella Hall of Fame del club, dieci anni fa, il premio conclusivo. Solo in Nazionale ebbe un rapporto brevissimo e tormentato: al Mondiale del ’70 in Messico si ritagliò appena sei minuti durante Italia-Messico, il giorno dell’esplosione di Gigi Riva e della scenata di gelosia di Domenghini per l’abbraccio con Rivera. Nient’altro. La panchina patita come un castigo durante l’amichevole Italia-Spagna giocata a Cagliari fu l’ultima apparizione in azzurro: litigò con il ct Ferruccio Valcareggi e uscì di scena a modo suo. Secondo le abitudini dell’epoca, Bobo concluse la sua carriera a Sant’Angelo Lodigiano contribuendo alla promozione in C1, 33 anni compiuti. Oggi a quell’età giocano la Champions League da protagonisti. 

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