Charles Leclerc si fa concavo e convesso per trovare un senso a questa sua stagione, anche se questa stagione un senso non ce l’ha. Non ce l'ha più, intendiamo: i titoli sono andati, il progresso della Ferrari è un obiettivo centrato ma la Red Bull è stata superiore (elogio sospeso in attesa che si sappia di più sul caso budget cap). Si potrebbe vincere ancora qualcosa, certo, magari sabotando domenica prossima la festa di Max Verstappen a Suzuka. O meglio: vivere queste ultime cinque gare preparando il 2023. Ne abbiamo parlato con lui.
Ci siamo: Verstappen sta per diventare campione del mondo. Quel giorno proverai un senso di fastidio o di liberazione?
«Il fastidio c’è perché la F1-75 aveva ottime prestazioni, ma abbiamo perso per strada punti preziosi. La cosa giusta da fare è concentrarmi sul futuro: massimizzare questi ultimi risultati, chiudere bene, lavorare sul 2023».
E quando Max sarà campione potremo parlare del suo primo titolo meritato?
«No, l’imponderabile fa parte del nostro sport e tutti i titoli sono meritati».
Più forte Verstappen oggi o Hamilton l’anno scorso?
«Non lo so: con Max ho occasioni di confronto che non avevo con Lewis. Eravamo troppo distanti».
Quante vittorie come obiettivo quest’anno, realisticamente?
«Il mio cuore dice cinque su cinque, la testa diceva tre prima di Singapore...».
Il tuo 2022 oggi somiglia più a una scommessa vinta o persa?
«Guardo al 2021 e dico: che passo avanti! Chi avrebbe scommesso un anno fa sulla competitività che abbiamo oggi?»
Però non vinci ormai da luglio e quel successo in Austria aveva permesso di tornare a sperare nel Mondiale. Che effetto avrebbe oggi una vittoria della Ferrari?
«Interrompere il digiuno sarebbe importante. Dopo la pausa estiva abbiamo faticato in gara, dunque darebbe fiducia a tutti ricordandoci che il potenziale c’è ancora: noi lo sappiamo, ma non siamo riusciti a mostrarlo».
Pesano di più le soddisfazioni o le delusioni?
«Mi concentro sempre più sulle cose negative: sono fatto così. E sono convinto che paghi perché, alla fine dei conti, mi permette di migliorare».
Quando fai un errore ti prendi a parolacce: non sei troppo severo con te stesso?
«Essere onesto con me stesso e la Ferrari porta al miglioramento. Gli errori mi fanno male, quindi la durezza mi serve per cercare di uscire da quel dolore e fare un passo avanti. Ma insomma: non arrivo a perderci il sonno».
Ogni anno impari qualcosa: cosa ti sta insegnando questa stagione?
«La crescita attraverso la cura dei dettagli: è quel che mi ha permesso di non ripetere gli errori di Imola e Le Castellet. Ma con l’esperienza diminuiscono i margini di miglioramento».
In cosa Carlos Sainz è più bravo di te?
«Forse nell’uso del simulatore, forse nella cura degli assetti cui io non davo altrettanto peso. Ma osservando lui ho preso a farlo con regolarità».
Ti ritieni un tipo paziente?
«Certo più di quanto lo ero in passato, ma rimane il mio difetto: i miei errori nascono dall’impazienza».
Quanti anni sei disposto ad aspettare per vincere il titolo?
«Lo voglio il prima possibile, continuiamo a lavorare e a migliorare così e arriverà presto».
Prima del 2026, la data indicata dal presidente Elkann.
«Possibile, ma servono altri passi avanti. Io ho fiducia nel progetto, dico con chiarezza ciò che voglio e con la squadra siamo sulla stessa barca. Non ci sono visioni differenti».
E’ un obiettivo verosimile per il 2023?
«Molto difficile da dirsi perché dipende anche da come lavorano gli avversari, ciò che è completamente fuori dal nostro controllo. Io sono fiducioso, se continueremo a lavorare così ce la faremo».
Se Ferrari ti proponesse un contratto a vita firmeresti o ci penseresti su?
«Restare in rosso per sempre sarebbe splendido. Guidare la Ferrari è il sogno di ogni pilota, e io lo sto vivendo».
Hamilton è per la Formula 1 quello che Federer è stato per il tennis?
«Sì, sono entrambi leggende dello sport».
Esiste lo stile in Formula 1?
«Sì, anche se non è chiaramente visibile perché non c’è in primo piano un gesto atletico».
Come definiresti il tuo stile?
«Aggressivo e versatile. La capacità di adattarsi è l’elemento più importante: in qualificazione non si guida come in gara, con gomme nuove non come con quelle usate. Credo di averlo dimostrato con il passaggio alle macchine a effetto suolo».
Come immagini il tuo addio alla Formula 1?
«Non lo immagino ma lo vorrei triste per la Formula 1. Vorrebbe dire che in questo sport ho lasciato un segno, ed è questo il mio obiettivo».
E come immaginavi la Formula 1, quando eri bambino?
«Come le gare di kart: vai, metti la tuta, accendi il motore e corri. Ora so che le giornate sono piene di riunioni e non finiscono mai. Ma la cosa non mi dispiace, va bene così».
Ti riconosci nella dimensione eroica del pilota?
«La vedo negli occhi dei bambini. A Singapore uno, incontrandomi, è scoppiato a piangere. E’ stato un momento bello perché quel bambino ero io quando sognavo la Formula 1. Ma da adulti non dobbiamo crederci, naturalmente: non siamo eroi».
Quando una donna pilota in Formula 1?
«Seguo un po’ la W Series, Jamie Chadwick sta facendo molto bene e sarebbe giusto dare una chance alle donne in Formula 3 o Formula 2, nella speranza di averne una nel Mondiale. Ma se una ragazza arriverà in Formula 1 dovrà riuscirci per merito, non con l’aiutino del messaggio sociale».