Marco Bucci: "Genova e lo sport, un mondo di valori"

Il sindaco ama la città e il mare: "Noi qui abbiamo il sangue salato. Cento eventi per essere protagonisti"
Giorgio Marota
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ROMA - Genova è l’eccezione, è l’alta velocità in un Paese di opere incompiute. Marco Bucci, l’amministratore che dopo il crollo del Ponte Morandi ad agosto del 2018 ha fatto correre la macchina della ricostruzione chiudendo il cantiere in meno di due anni, è anche un uomo del fare, oltre che di parole. Le uniche che preferisce tenere per sé in questa intervista sono quelle sul calcio giocato. In un mondo dove tutto (o quasi) è riconducibile al dio pallone, dove li prende i voti un sindaco che non ne parla mai? «Non sono tifoso, non lo sono mai stato», ci racconta mentre passeggia per i corridoi del Corriere dello Sport-Stadio, a Roma, assieme al nostro direttore Ivan Zazzaroni, e con lui ammira le prime pagine del Mondiale 1982 e dell’Europeo del 2021. La Nazionale, invece, è tutta un’altra storia: quella è tutta azzurra, come il mare che gli scorre nelle vene. «Due trionfi memorabili, entrambi l’11 luglio. Per motivi familiari sono legatissimo a questa data». E Genoa e Samp? «Due figlie di questa città alle quali voglio bene come un padre».

Una città che vuole ospitare gli Europei del 2032? 
«Noi ci siamo. La Figc e il governo lo sanno. Vogliamo investire».

La co-organizzazione con la Turchia taglierà fuori tante città. L’Italia ne avrà 5 e Roma, Milano e Torino saranno dentro. Serve una rimonta? 
«Ho incontrato le società, il tempo stringe perché entro il 2026 verrà fatta la scelta. Voglio vedere i progetti entro fine febbraio, servono lavori importanti ma crediamo di potercela giocare e vincere anche questa sfida».

Che tipo di lavori? 
«Innanzitutto per l’accessibilità allo stadio, poi penso ai servizi, a quelli aggiuntivi come gli sky box, la parte food and beverage, l’utilizzo extra calcio come i concerti. Dicono tutti che abbiamo lo stadio all’inglese, ma ora dobbiamo renderlo multifunzionale e vogliamo che ci sia anche una metropolitana che si ferma sotto il Ferraris, che dovrà essere un valore aggiunto per la città e mai un problema per chi abita nel quartiere».

Genova è Capitale Europea dello Sport 2024.  
«Un riconoscimento che ci rende orgogliosi perché porteremo in città eventi nazionali e internazionali. C’è stata una selezione molto dura. Questo è un premio, ma che ti fa rimboccare le maniche».

Provochiamo: c’è chi teme di fare eventi sportivi per paura di non riuscire a gestirli. 
«Lo sport migliora la qualità di vita delle persone e rende buoni cittadini. Chi fa sport impara il valore della fatica, del sudore, del lavoro in team e anche l’importanza della sconfitta. Poi genera business, ricadute occupazionali in città. Con lo sport possiamo proprio destagionalizzare il turismo: eventi a novembre, gennaio, febbraio ci consentiranno ad esempio di portare persone a Genova anche fuori periodo».

Qual è l’impatto economico della manifestazione? 
«Al momento la previsione è di 9 milioni di euro di indotto diretto legato alle sole presenze, poi vanno aggiunte le altre voci di spesa dirette e indirette. Abbiamo comunque calcolato che ogni euro investito in sport si generano dai 2 ai 3 euro in ricadute economiche».

Cento eventi, 32 discipline, 28 federazioni. Le curiosità da non perdere? 
«Avremo la prima manifestazione mondiale di coastal rowing, cioè il canottaggio che si fa partendo dalla spiaggia. Ci sarà la regata delle repubbliche marinare con i galeoni. Genova è una città stretta tra la montagna e il mare e sfrutteremo tutto il territorio, penso a jogging, mountain bike, trail. Poi avremo anche gli sport più conosciuti: calcio, tennis, padel, basket, hockey, pallavolo. Molte attività saranno all’aperto».

E al chiuso? Quello delle infrastrutture è un problema nazionale. 
«A fine giugno inaugureremo il palasport alla Fiera, è completamente rinnovato. Quelli della mia età lo ricordano bene: negli anni ‘70 era l’unico posto al coperto dove si potevano fare i record di atletica leggera a livello europeo, poi è andato in disuso».

Il suo sport preferito? 
«Ho iniziato facendo minibasket, poi ho incontrato un grande prof di ginnastica e lì è nata la mia passione con l’atletica. Con il mezzofondo mi sono fatto il cuore. A 19 anni ho cominciato con l’alpinismo, poi a 33 anni mi sono trasferito negli Usa. Tornando ho comprato una barca a vela. Sa, noi genovesi abbiamo il sangue salato».

Come immagina la sua città in un orizzonte 2030? 
«Abbiamo finanziato un corso di nuoto per tutti gli studenti delle elementari e delle medie. Vogliamo che tutti i genovesi sappiano nuotare. Il mio sogno è che tutti i cittadini, di qualsiasi età, nel giro di pochi anni siano attivi». 


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