“Jacobs fenomeno, ma quanta gente sta rosicando?”

Intervista a La Torre, direttore tecnico della Nazionale, che risponde agli attacchi stranieri e risponde: "In tanti non si informano"
“Jacobs fenomeno, ma quanta gente sta rosicando?”
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Le considerazioni di alcuni giornalisti sono fonte di dispiacere e anche di grande imbarazzo sotto tutti i punti di vista. Parliamo di atleti che vengono sottoposti sistematicamente e quotidianamente nel villaggio a i controlli antidoping: dispiace e dimostra come non sia stata accettata la sconfitta”. Questa la risposta piccata di Giovanni Malagò a certa stampa americana e anglosassone, che aveva avanzato velati sospetti di doping all’indomani del trionfo dello “sconosciuto” Marcell Jacobs sui 100 metri. Solo invidia per aver perso il trono dello sprint puro lasciato libero da Bolt? Probabile. Ignoranza? Fino a un certo punto. Perché un po’ di veleno era stato sparso anche in Italia, pur senza tirare mai in ballo il futuro campione olimpico. Sui dubbi del Washington Post e del Times di Londra abbiamo sentito invece il d.t. azzurro Antonio La Torre, professore associato di Metodi e Didattiche all’attività sportiva all’Università degli Studi di Milano.

Professore, come spiega questi attacchi?

“Ci sono giornalisti che non si informano. Tanto per dire: se Jacobs avesse le ginocchia un po’ meno fragili probabilmente oggi lo avremmo celebrato campione olimpico di salto in lungo. Vanta anche un 8,48 ventoso (+2,8, cinque anni fa a Bressanone; ndr) e a Tokyo hanno vinto con 8,41. Marcell ha lavorato benissimo. I segnali si sono visti già in inverno. In atletica non si inventa nulla, altro che miglioramenti repentini”.

Cosa ha risposto a chi non sapeva spiegarsi il 9”80 di Jacobs?

“Che dietro c’è tutto un percorso tecnico: a marzo ha vinto il titolo europeo indoor dei 60 con il miglior tempo mondiale dell’anno di 6”47. Poi a Savona ha corso i 100 in 9”95, seguito da tante gare sotto o vicine ai 10”. La nostra strategia è dare il massimo all’Olimpiade. Un giornalista della AP è rimasto stupito quando gli ho sciorinato i dati di allenamento di Marcell, che sono a disposizione di tutti”.

Secondo lei ci sono altre motivazioni?

“Ho la sensazione che “rosichino”: dove sta scritto che a vincere debba essere per forza un americano? Ai Mondiali di Parigi 2003 l’oro dei 100 andò a Kim Collins di St. Kitts e Nevis”.

Dietro certi risultati ci sono an[1]che le le nuove scarpe usate tutti i finalisti a Tokyo?

“Ci sono già studi che certificano i vantaggi. Come ha detto Edwin Moses, il massimo apporto, mezzo secondo, c’è sui 400 hs. Nei 100 è circa di 4-6 centesimi. E poi c’è il fattore pista: è velocissima e l’ha progettata l’italiana Mondo, come sempre a Olimpiadi e Mondiali”.

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